Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è equiparabile alle locazioni – Tribunale di Bologna, 3 aprile 2019, ordin. ex art. 702 ter

(di Valeria Cianciolo – Sez. Ondif di Bologna)

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è equiparabile alle locazioni; lo stesso, pertanto, in forza dell’art. 1599 c.c., è opponibile al terzo acquirente per il periodo di nove anni dall’assegnazione, qualora non sia stato trascritto, e anche oltre i nove anni qualora sia stato trascritto.

TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA
SECONDA SEZIONE CIVILE

Nella causa civile iscritta al n. r.g. 15841/2016 promossa da:
AGRICOLA ALFA S.R.L. (C.F. ***), con il patrocinio dell’avv. C. A. elettivamente domiciliato in xxxxxx Bologna presso il difensore avv. C. A.
RICORRENTE
contro
X, in proprio e in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore D. , con il patrocinio dell’avv. V. M. e dell’avv. R. P. xxxxxx  BOLOGNA, elettivamente domiciliato in xxxxxx Bologna presso il difensore avv. V. M.
RESISTENTE
e
con il patrocinio dell’avv. G. I. elettivamente domiciliato in xxxxxx Bologna presso il difensore avv. G. I.
RESISTENTE
e
con il patrocinio dell’avv. M. A. elettivamente domiciliato in xxxxxx BOLOGNA presso il difensore avv. M. A.
TERZO CHIAMATO

sciogliendo la riserva assunta in data 28 marzo 2019, letti gli atti e i documenti allegati e viste le istanze ed eccezioni formulate dalle parti, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
La causa è sufficientemente istruita su base documentale ed all’esito della trattazione può essere decisa senza l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori.

La domanda non è meritevole di accoglimento.

1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. la ricorrente Agricola Alfa s.r.l. conveniva in giudizio le resistenti X, in proprio e in qualità di genitore esercente la responsabilità genitoriale sulla minore D. , nata il 12 novembre 2013, nonché la signora Z , madre della prima, esponendo d’avere acquistato in data 4 agosto 2016, in esecuzione di contratto preliminare, il diritto di usufrutto per la durata di 11 anni su un immobile sito in Bologna, via Alta n. 5, di proprietà di Y , chiedendo la condanna delle resistenti a rilasciare immediatamente il predetto immobile.

Si costituiva tempestivamente la resistente X, esponendo di essere stata moglie di Y , alienante del diritto di usufrutto, nonché padre di D. , nei confronti del quale, in seguito a sentenza di divorzio emessa da Tribunale russo che nulla aveva disposto in ordine alla comune figlia minorenne, aveva intrapreso ricorso urgente ex art. 337 bis e ss. c.c. domandando, fra l’altro, l’assegnazione della casa familiare, sicché chiedeva la sospensione del giudizio e comunque la reiezione della domanda.

Si costituiva altresì la resistente Z chiedendo il mutamento del rito in ordinario, autorizzazione a chiamare in causa l’alienante del diritto di usufrutto e comunque insistendo nel merito anch’essa per la reiezione della domanda.

La ricorrente con memoria del 12 gennaio 2017 si opponeva tanto alla sospensione del processo che al mutamento del rito.

Respinte le richieste di autorizzazione a chiamare il terzo, di sospensione del processo e di mutamento del rito, veniva disposta con ordinanza del 29 maggio 2017 la comparizione personale delle parti ex art. 185 c.p.c. per il tentativo di conciliazione e, rinviata la causa su richiesta delle parti e preso quindi atto del mancato raggiungimento di un accordo, con ordinanza del 28 giugno 2018 il giudice istruttore, ritenuto che nella specie fosse pacifico che la parte ricorrente avesse acquistato il diritto di usufrutto del bene immobile oggetto di causa nella piena consapevolezza dell’interesse di parte alienante di sottrarre il godimento della casa familiare alla propria figlia, così aggirando il chiaro disposto di cui all’art. 337 sexies c.c., disponeva l’integrazione del contraddittorio issu iudicis ex art. 107 c.p.c. nei confronti dell’altro contraente, Y , padre della minore.

Quest’ultimo si costituiva con comparsa di risposta nella quale si associava alla richiesta di parte ricorrente di rilascio dell’immobile da parte della propria figlia e delle altre due resistenti.

Disposta quindi l’acquisizione del decreto della Corte d’Appello di Bologna del 23 novembre 2018 – di conferma dell’assegnazione della casa familiare – ed assegnato a tutte le parti un termine per note conclusive, la causa veniva discussa oralmente all’udienza del 28 marzo 2019, ove il giudice riservava la decisione.

2.Dall’esame degli atti e dei documenti prodotti dalle parti e all’esito della trattazione, risulta pacifico che fra la resistente X e il terzo chiamato Y sia intercorso rapporto di coniugio (matrimonio celebrato in Russia l’8 giugno 2012) sino allo scioglimento del vincolo matrimoniale per effetto di un provvedimento dell’Autorità giudiziaria della Repubblica della Moldova (non dunque dell’autorità russa, come erroneamente allegato dalla difesa della resistente X), su istanza della moglie, emesso in data 19 febbraio 2016 (doc.3 resistente Z).

È altresì pacifico che nel corso del matrimonio i due coniugi abbiano avuto una bambina, D. , nata il 12 novembre 2013, e che il provvedimento di divorzio della Moldova non contenesse alcuna statuizione in merito all’affidamento, collocazione e mantenimento della stessa (cfr. doc. 3 resistente Z).

È inoltre documentale che il marito, allontanatosi dalla casa familiare, abbia perfezionato con la società ricorrente, prima un contratto preliminare in data 16 maggio 2016 (doc. n. 2 ricorrente; contratto trascritto in data 24 maggio 2016), promettendo l’alienazione del diritto di proprietà o comunque del diritto di usufrutto (il preliminare prevedeva in favore dell’alienante il diritto di opzione fra trasferimento della proprietà o del solo usufrutto) dell’appartamento ove abitava e tuttora abita la minore, insieme alla mamma e alla nonna, e poi, in rapida successione, un contratto definitivo in data 4 agosto 2016 (doc. n. 4 ricorrente) in cui ha optato per la cessione, non della proprietà, ma del solo usufrutto per undici anni, al prezzo complessivo di euro 11.000,00 (contratto trascritto in data 1 settembre 2016).

È, infine, documentale che la moglie abbia promosso avanti a questo Tribunale, in data 25 agosto 2016 (dunque in data posteriore al perfezionamento dei contratti preliminare e definitivo ma antecedente alla trascrizione del contratto definitivo), procedimento ex art. 337 bis c.c. ad esito del quale la casa familiare le è stata assegnata, in ragione della stabile dimora della figlia, con provvedimento del Tribunale di Bologna del 7 maggio 2018, in atti, divenuto definitivo in seguito alla sua conferma da parte della Corte d’appello, con decreto del 23 novembre 2018 (per cui tutte le parti hanno dato atto al verbale del 28 marzo 2019 di non avere interposto impugnazione).

Non persuade al riguardo l’eccezione di parte ricorrente per cui sarebbero inutilizzabili i documenti comprovanti l’avvenuta assegnazione della casa familiare con provvedimento del Tribunale di Bologna confermato dalla Corte d’Appello, sul rilievo assorbente della carenza di specifici termini decadenziali nel rito prescelto dalla stessa ricorrente e della novità comunque dei detti documenti, formatisi nel corso del presente processo.

3.Il quesito posto nella presente controversia è se il titolo detentivo spettante al genitore non proprietario sull’immobile adibito a casa familiare sia opponibile al terzo, ancorché abbia acquistato dal genitore-proprietario un diritto incompatibile – nella specie l’usufrutto – prima dell’emissione del provvedimento di assegnazione.

A tale riguardo, occorre premettere alcune precisazioni sul quadro normativo di riferimento.

3.1.Funzione precipua dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare in seguito a separazione o divorzio dei coniugi, degli uniti civilmente o dei conviventi, è la tutela della prole, diretta ad evitare che i figli e le figlie minorenni, o maggiorenni non economicamente indipendenti, abbiano a sommare al trauma della fine del rapporto tra i propri genitori anche l’ulteriore trauma dell’allontanamento dall’ambiente nel quale sono cresciuti, il quale costituisce il centro di «aggregazione di sentimenti» che coinvolgono il minore con rilevanti implicazioni d’ordine materiale e psicologico, specie avuto riguardo ai delicati e fragili equilibri che sostengono il percorso evolutivo del bambino e dell’adolescente (cfr. Corte di cassazione Sez. U, Sentenza n. 11096 del 26/07/2002 per cui «la funzione dell’istituto, che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale costituisce una misura di tutela esclusiva della prole, diretta ad evitare ai figli minorenni o anche maggiorenni tuttora economicamente dipendenti non per propria colpa l’ulteriore trauma di un allontanamento dall’abituale ambiente di vita e di aggregazione di sentimenti»).

L’assegnazione della casa familiare assolve dunque ad una funzione essenziale per la tutela dei figli nella delicata fase della separazione dei genitori, la quale trova il proprio fondamento nella protezione del preminente interesse del minore, che come noto trova copertura innanzitutto nella Costituzione, agli articoli 2, 29 e 30, nella Convenzione europea dei diritti umani, all’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare), e in special modo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (il cui valore giuridico è come noto riconosciuto dall’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea) che all’articolo 7 prescrive il «rispetto della vita privata e della vita familiare» e, soprattutto, all’articolo 24 afferma in modo innovativo ed univoco i «Diritti del bambino» (e il cui secondo paragrafo prescrive che «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente»), nonché, com’è ovvio, nella cd. Convenzione di New York (Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989) il cui articolo 3 ha imposto per la prima volta il principio per cui «in tutte le decisioni riguardanti i fanciulli che scaturiscano da istituzioni di assistenza sociale private o pubbliche, tribunali, autorità amministrative o organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve costituire oggetto di primaria considerazione».

L’assegnazione della casa familiare presuppone, in ultima analisi, il riconoscimento che gli interessi preminenti del minore sono protetti solo ove sia assicurato il suo diritto fondamentale a permanere, ove possibile, nell’ambiente in cui è cresciuto sino alla separazione dei suoi genitori. L’assegnazione della casa familiare è attuata in favore del genitore ma protegge un diritto che è riconosciuto in capo allo stesso minore, che ne è in effetti il titolare sostanziale.

A tale riguardo la Corte costituzionale, nella nota decisione con cui ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 155, quarto comma, c.c., nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione della abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario della prole, ai fini della sua opponibilità ai terzi, ha rammentato come ratio dell’istituto dell’assegnazione della casa familiare sia in effetti esclusivamente la protezione del minore (Corte costituzionale, Sentenza 19-27 luglio 1989 n. 454, per cui «è dunque “l’esclusivo interesse morale e materiale della prole” a determinare la spettanza dell’abitazione al coniuge cui la prole è affidata»).

La natura sovraordinata del diritto del minore a permanere nell’ambiente ove è cresciuto impone per conseguenza -e senz’altro- una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della disciplina positiva a livello di normazione ordinaria e, ove risultasse un qualsiasi contrasto fra la stessa e le prescrizioni derivanti dal diritto euro-unitario, la sua stessa disapplicazione da parte del giudice nazionale.

3.2.Prescinde dai fini della presente decisione l’esame della successione di norme e dei diversi indirizzi giurisprudenziali in materia di opponibilità ai terzi dell’assegnazione della casa coniugale (come noto, è fiorito negli anni un ampio dibattito, in dottrina e in giurisprudenza, incardinato soprattutto, ma non solo, sul significato da attribuire al richiamo all’art. 1599 c.c. contenuto nell’art. 6, comma 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall’art. 11 della L. 6 marzo 1987, n. 74), attesa in particolare la non felice formulazione di tale ultima norma, la quale in modo apparentemente contraddittorio dispone che l’assegnazione «in quanto trascritta», è opponibile al terzo acquirente «ai sensi dell’articolo 1599 del codice civile», che al comma 3 tuttavia consente l’opponibilità anche in mancanza di trascrizione, «nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione»).

Ai fini della presente decisione appare invero sufficiente prendere le mosse dalla già menzionata decisione delle Sezioni Unite della S.C. che, ponendo fine al pregresso contrasto giurisprudenziale e dottrinale e optando per l’interpretazione più favorevole all’assegnatario della casa familiare, ha stabilito che, ai sensi dell’art. 6, comma 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario sebbene non trascritto sia comunque opponibile, nei primi nove anni dalla data di assegnazione, al terzo che avesse acquistato in data successiva (Corte di cassazione Sez. U, Sentenza n. 11096 del 26/07/2002: «ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 -nel testo sostituito dall’art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74-, applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni»).

Con tale decisione, dunque, la Corte ha ritenuto che il richiamo dell’art. 6, comma 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898 all’art. 1599 c.c. valga a mantenere netta la distinzione fra l’opponibilità dell’assegnazione oltre i nove anni, per cui non può prescindersi dalla trascrizione, e l’opponibilità nei primi nove anni dal provvedimento di assegnazione, per cui l’opponibilità ai terzi prescinde del tutto dalla trascrizione e pure dalla concreta conoscenza o conoscibilità del provvedimento di assegnazione da parte del terzo acquirente.

Va pure osservato che, come rammentato dalla migliore dottrina, in tale decisione le Sezioni Unite siano giunte a stabilire che l’assegnazione della casa sia opponibile ai terzi, sebbene non trascritta, sulla base di un ragionamento ermeneutico che non si limita ad analizzare il richiamo all’art. 1599 c.c., ma considera pure l’evoluzione storica dell’istituto, i profili di pubblicità nei confronti di terzi, nonché i lavori preparatori, la finalità e la ratio dello stesso.

3.3.Nonostante qualche incertezza in una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza di merito, tale approdo esegetico è rimasto sostanzialmente fermo nella giurisprudenza di legittimità anche dopo l’entrata in vigore della L. n. 54/2006, atteso che il mancato richiamo dell’art. 1599 c.c. nel testo della nuova norma di cui all’art. 155 quater c.c. (per cui «il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi, ai sensi dell’art. 2643 c.c.»), non poteva autorizzare a ritenere che la trascrizione fosse sempre indispensabile ai fini dell’opponibilità del provvedimento di assegnazione anche entro il novennio, dovendosi attribuire rilievo preminente al fatto che l’art. 6, comma 6, l. div. non aveva costituito oggetto di abrogazione da parte del detto intervento normativo (cfr. ad es., ex multis, Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 15367 del 22/07/2015; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 7007 del 17/03/2017). In buona sostanza, la previsione della trascrivibilità del provvedimento e il rinvio all’art. 2643 c.c. (in particolare al suo comma primo, n. 8) non elide, ma si somma, alla previsione di cui all’art. 1599, terzo comma c.c..

Parimenti, il quadro delineato dalle Sezioni Unite non è sostanzialmente mutato neppure con la più recente riforma di cui al D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, entrata in vigore il 7 febbraio 2014, atteso che pur abrogando il menzionato art. 155 quater c.c., la disciplina dell’assegnazione della casa familiare oggi contenuta nell’art. 337 sexies c.c. ripropone letteralmente il contenuto del comma 1 dell’abrogato art. 155 quater c.c..

Va osservato al riguardo che l’art. 98, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 154/2013, nell’elencare i commi abrogati dell’art. 6 della L. n. 898/1970, ha omesso di indicare proprio il comma 6 della L. n. 898/1970, contenente la disciplina dell’assegnazione della casa coniugale nelle procedure divorzili, in cui e` richiamato l’art. 1599 c.c. come criterio per l’opponibilità del provvedimento. Né potrebbe parlarsi di abrogazione tacita, per incompatibilità con le nuove disposizioni, atteso che il legislatore del 2013 laddove ha voluto abrogare talune norme sul divorzio, lo ha fatto espressamente (cfr. l’espressa abrogazione dei commi 3, 4, 5, 8, 9, 10, 11 e 12 dello stesso art. 6, l. div.). Proprio la delicatezza delle questioni e il noto arresto delle Sezioni Unite inducono a escludere che il legislatore omettendo di abrogare la disposizione de qua abbia voluto comunque abrogarla implicitamente.

Ne consegue che anche a seguito delle dette riforme, l’opponibilità dell’assegnazione nel limite del novennio deve essere riconosciuta in forza del combinato disposto degli artt. 6, comma 6 della L. n. 898/1970 e dell’art. 1599 c.c., a prescindere dalla trascrizione (cfr. Corte di cassazione Sez. 2, Sentenza n. 1744 del 2018).

In conseguenza di tale lettura del quadro normativo, appare allora evidente come resti del tutto estranea alla presente decisione ogni questione in merito alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, alla trascrivibilità della relativa domanda e all’effetto prenotativo delle stesse rispetto a successivi acquisti.

Come si è detto, nell’attuale assetto normativo, in ragione del richiamo dell’art. 6, comma 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898 all’art. 1599 c.c. si deve intendere, secondo l’indirizzo ermeneutico precisato dalle Sezioni unite nell’esercizio della loro funzione di nomofilachia, che per l’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare nei primi nove anni non vi sia necessità alcuna di trascrizione.

3.4.Con autorevole e motivata successiva decisione, la Corte di cassazione ha ritenuto che il richiamo all’art. 1599 c.c., per cui in caso di locazione infranovennale è opponibile al terzo il contratto di locazione avente data certa anteriore all’acquisto, consenta una interpretazione costituzionalmente orientata, in ragione della quale deve assumersi che nei primi nove anni dal provvedimento di assegnazione della casa familiare (peraltro la decisione de qua è adottata in ipotesi non di coniugio, ma di separazione di conviventi more uxorio), lo stesso sia opponibile anche al terzo che pur avendo acquistato anteriormente al provvedimento, fosse tuttavia pienamente consapevole della destinazione in concreto dell’immobile a casa familiare di uno o più minori titolari del diritto di riceverla in assegnazione (Corte di cassazione Sez. 1, Sentenza n. 17971 del 11/09/2015: «il diritto di godimento dell’immobile adibito a casa familiare attribuito al convivente more uxorio collocatario dei figli minori è opponibile all’avente causa dell’ex convivente proprietario dell’immobile, indipendentemente dall’anteriorità del trasferimento immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione, sempre che il terzo acquirente sia a conoscenza del pregresso rapporto di stabile convivenza e del vincolo di destinazione impresso al bene in data antecedente all’alienazione»).

Secondo la S.C., infatti, «non rileva, nella specie, l’anteriorità del trasferimento immobiliare rispetto al provvedimento di assegnazione dell’immobile a casa familiare disposto dal Tribunale per i minorenni, dal momento che la qualità di detentore qualificato in capo alla ricorrente è pacificamente preesistente al trasferimento immobiliare così come la indiscussa destinazione dell’immobile a casa familiare impressa anche dal proprietario genitore e convivente con la ricorrente e le minori medesime fino al suo allontanamento volontario. La relazione con l’immobile, in virtù di tale destinazione non ha natura precaria ma, al contrario, è caratterizzata da un vincolo di scopo che si protrae fino a quando le figlie minori o maggiorenni non autosufficienti conservino tale habitat domestico».

Riformando l’opposta decisione del giudice di merito, osserva la S.C. che «la centralità che la Corte d’Appello ha conferito alle cadenze temporali relative al trasferimento immobiliare, all’instaurazione dell’azione di rilascio e della domanda di affidamento delle minori ed infine al provvedimento di assegnazione della casa familiare (la cui datazione non dipende dalla diligenza della ricorrente e che è opponibile ancorché non trascritto nel novennio), è priva di rilievo nella specie, in quanto superata dalla conoscenza della preesistenza della destinazione a casa familiare da parte del terzo acquirente dell’immobile e dalla consapevole finalità di eliminarne tale carattere mediante il trasferimento unitamente al dante causa».

Appare fuori fuoco ed eccentrico rispetto al tema de qua, l’argomento di parte ricorrente -che riecheggia qualche opinione critica espressa da una parte della dottrina- per cui tale indirizzo confliggerebbe col principio della risoluzione dei conflitti in forza della trascrizione degli atti, atteso che, come visto, qui si verte in tema di opponibilità (della locazione infranovennale e) del provvedimento di assegnazione della casa nei primi nove anni, la quale per scelta del legislatore prescinde del tutto dalla trascrizione.

La deroga al regime delle trascrizioni non deriva da una interpretazione giurisprudenziale, ma dal chiaro disposto dell’art. 1599 c.c. che in ipotesi di locazione infranovennale prescinde del tutto dalle trascrizioni.

La lettura innovativa, costituzionalmente imposta, della norma non incide dunque in nulla sull’assetto del regime degli atti trascrivibili: il contratto di locazione infranovennale è infatti opponibile anche se non trascritto e del tutto ignoto all’acquirente.

Parimenti inconferente è il richiamo della difesa di parte ricorrente alla nota pronuncia della Corte di cassazione Sez. 3, Sentenza n. 7776 del 20/04/2016, posto che la questione ivi esaminata si pone del tutto al di fuori rispetto alla questione oggetto della presente controversia, atteso che in quel caso il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario era stato tempestivamente e regolarmente trascritto (sicché, come affermato correttamente dalla Corte, non avrebbe avuto alcun senso richiamare in tale fattispecie i diversi orientamenti che nel tempo si sono succeduti in tema di opponibilità dei provvedimenti di assegnazione non trascritti né, tantomeno, richiamare la pronuncia delle Sezioni Unite sopra citata e la decisione n. 17971/2015, in quanto, appunto, aventi ad oggetto provvedimenti di assegnazione che non hanno avuto alcuna formalità pubblicitaria).

Non v’è dubbio che il rimando dell’art. 6, comma 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898 alla materia locatizia imponga di per sé un qualche vaglio ermeneutico, attese le evidenti differenze fra locazione e assegnazione della casa familiare. Tale vaglio ermeneutico non può non tenere conto della natura dei diritti in gioco, i. e. del particolare rilievo anche costituzionale e convenzionale dei preminenti interessi dei bambini. Già il parallelo tracciato dalle SSUU fra locazione infranovennale e opponibilità dell’assegnazione della casa nei primi nove anni è frutto di una, condivisibile, interpretazione del dato letterale. Nel caso della locazione, inoltre, vi è un atto negoziale con cui le parti danno luogo al rapporto locatizio; nel secondo caso vi è invece un provvedimento giudiziale che accerta la sussistenza di un diritto del minore a (continuare a) abitare l’immobile. Nel primo caso il contratto è fonte del diritto, sicché la legge impone che lo stesso abbia necessariamente data certa antecedente l’acquisto da parte del terzo; nel secondo caso il diritto del minore, oggetto di protezione giuridica, precede il provvedimento, sicché si pone il tema della opponibilità del provvedimento nei confronti del terzo che fosse comunque pienamente consapevole della sussistenza del diritto.

È allora del tutto plausibile e coerente con la natura degli interessi e dei diritti fondamentali del bambino, che in ipotesi di separazione dei suoi genitori il provvedimento di assegnazione della casa familiare sia opponibile, nei primi nove anni dalla sua emanazione, all’acquirente che fosse a conoscenza del fatto che l’immobile costituiva la casa familiare del minore.

L’assetto attualmente delineato dalla Suprema Corte garantisce la circolazione dei beni non meno di quanto faccia l’art. 1599 c.c. per le locazioni infranovennali. Va anzi evidenziato che mentre in quel caso il contratto è sempre opponibile al terzo, anche se questi versi in buona fede, in questo caso il terzo in buona fede è sempre tutelato, restando il diritto del minore opponibile soltanto all’acquirente in mala fede, che fosse cioè consapevole della lesione procurata al minore dalla propria operazione di acquisto.

4.Così delineato, a grandi linee e solo per quanto qui rileva, il quadro dei canoni giuridici in gioco nella fattispecie de qua, tornando invece all’analisi dei presupposti di fatto della controversia in decisione, va osservato che mentre risultano pacifiche e/o documentali tanto la relazione di coniugio, la cessione temporanea dell’usufrutto, quanto l’assegnazione in via definitiva della casa alla resistente, oggetto di dibattito processuale è, innanzitutto, la consapevolezza della odierna ricorrente, terza cessionaria del diritto di usufrutto, della destinazione in concreto della casa a abitazione della minore e la sua dolosa compartecipazione al tentativo del padre di sottrarre l’immobile alla sua funzione di casa familiare della propria figlia.

4.1.Che, invero, il padre sia stato pienamente consapevole della lesione del diritto della propria figlia minorenne derivante dalla cessione, sia pure per undici anni, di abitare l’immobile, non può sensatamente dubitarsi.

Pur scontando la verosimile scarsa conoscenza del medesimo del dato giuridico, è invero certo che lo stesso sapesse che l’alienazione del diritto di abitare (all’infimo prezzo di € 11.000,00, poco meno di ottanta euro mensili) avrebbe potuto condurre al forzato trasferimento della propria figlia dalla sua casa, mentre poco rileva e importa se il medesimo fosse pure consapevole o meno della legittimità di tale proprio fine per l’ordinamento italiano.

L’allegazione del terzo chiamato Y , per cui la moglie gli avrebbe manifestato l’intenzione di trasferirsi a breve in Moldova, lasciando l’appartamento, non è in alcun modo credibile ed è rimasta del tutto priva di qualsiasi riscontro probatorio. Tale affermazione, d’altra parte, non pare confermata, e risulta anzi smentita, dalla condotta della moglie, che, lungi dal programmare un trasferimento in patria, appena raggiunta dalla notizia dell’alienazione (in ragione dell’intimazione a rilasciare l’immobile trasmessale dalla società ricorrente in data 24 giugno 2016), ha richiesto immediatamente l’assegnazione della casa con ricorso ex art. 337 bis c.c..

È d’altra parte pacifico che la resistente abiti da tempo in Italia, dove convive anche con la madre, e che la bambina sia nata in Italia, che qui frequenti la scuola dell’infanzia ed abbia qui ogni relazione significativa, sicché, in carenza di qualsiasi contraria evidenza, la pretesa intenzione di tornare in Moldova non appare credibile.

4.2.Non è seriamente contestato dalla parte ricorrente, e non è invero dubitabile, che anche la terza cessionaria fosse perfettamente consapevole della destinazione dell’immobile a casa familiare e della sua abitazione da parte della figlia dell’alienante.

Nelle proprie difese la ricorrente non ha mai allegato d’essere stata all’oscuro della abitazione dell’appartamento da parte della moglie e della figlia dell’alienante.

La medesima ha basato le proprie difese esclusivamente sulla ritenuta inopponibilità dell’assegnazione della casa familiare, sull’assunto, come visto infondato, che anche nei primi nove anni il provvedimento sia opponibile al terzo acquirente solo se trascritto prima della trascrizione dell’acquisto.

Anche dopo la costituzione delle resistenti, la parte ricorrente non ha mai allegato di avere ignorato le circostanze allegate dalle stesse, limitandosi a ribadire l’inopponibilità a se del diritto della bambina a permanere nella propria casa dopo il divorzio dei genitori e della irrilevanza della assegnazione della casa familiare in carenza di trascrizione.

È peraltro documentale che la ricorrente al momento del perfezionamento del contratto fosse invero pienamente consapevole che l’appartamento di cui voleva acquistare l’usufrutto costituiva la casa familiare della moglie e della figlia dell’alienante, posto che la promissaria acquirente in data 24 giugno 2016 (fra il preliminare e il definitivo) notificava alle stesse la intimazione a rilasciare immediatamente l’immobile, così attestando in modo univoco e irrefutabile di avere la piena consapevolezza di acquistare un immobile abitato dalla ex moglie dell’alienante.

Tale consapevolezza precedeva senz’altro lo stesso contratto preliminare, atteso che è pacifico che l’acquirente abbia visitato a fine gennaio 2016 l’appartamento prima di intraprendere l’operazione commerciale (circostanza allegata dal terzo chiamato nella propria comparsa di risposta, depositata il 12 novembre 2018, e mai contestata), avendo dunque modo di verificare che lo stesso era abitato da più persone, fra cui la bambina, mentre dalla comparsa di risposta del terzo chiamato si legge che sin dal contratto preliminare «il signor Y aveva, tuttavia, avvertito la Agricola Alfa s.r.l. del fatto che all’interno dell’immobile si trovava la ex moglie».

In buona sostanza, l’acquirente al momento del contratto definitivo aveva piena e indiscussa consapevolezza che l’appartamento era abitato dalla famiglia dell’alienante, che le parti erano separate o divorziate e che ivi abitava anche una bambina, figlia dell’alienante. Come si è detto, appare risibile e comunque privo di prova l’argomento di parte Y per cui la moglie gli avrebbe riferito che voleva tornare a vivere in Moldova, e comunque non è stato mai allegato che tale (falsa) informazione sia stata mai comunicata alla società promissaria acquirente.

In conclusione, la stessa parte ricorrente non ha mai sostenuto d’essere stata ignara della destinazione dell’appartamento e la sua consapevolezza emerge ex carta dalla intimazione a rilasciare l’immobile trasmessa prima del perfezionamento del contratto definitivo. Lo stesso particolare contenuto tecnico dell’operazione commerciale, con la cessione del solo diritto di usufrutto (quasi ad asportare chirurgicamente il diritto di abitazione, conservando integro il futuro diritto di proprietà dell’alienante) presuppone e postula uno specifico approfondimento dei rispettivi interessi, sicché non può dubitarsi che la parte acquirente (che aveva il legittimo scopo, come si legge nel ricorso introduttivo, «di operare a scopo di lucro nell’ambito della locazione a breve e lungo termine») abbia avuto chiara contezza delle specifiche esigenze dell’alienante, fra cui la necessità di «mettere a reddito», dopo il divorzio, la propria casa familiare.

4.4.In conclusione, nel caso di specie l’interesse del terzo acquirente necessariamente regredisce, per il semplice fatto che questi conosceva la destinazione dell’immobile a casa familiare, in cui abitavano la ex moglie e la figlia dell’alienante, ed anzi verosimilmente si accordava col medesimo proprio all’evidente scopo di sottrarlo dal patrimonio di quest’ultimo, emergendo dagli atti l’evidenza di una vera e propria partecipatio fraudis della società immobiliare terza acquirente.

La domanda volta al rilascio dell’immobile da parte delle resistenti in ragione della sua occupazione sine titulo non è dunque meritevole di accoglimento, atteso che l’abitazione dell’appartamento da parte delle resistenti è fondata su un provvedimento giurisdizionale opponibile all’acquirente (o comunque, nel caso della Z, su ragioni di ospitalità da parte della legittima titolare del diritto).

5.La domanda è da respingere.

6.La condanna alla rifusione delle spese di lite segue secondo il principio di soccombenza, liquidate come da dispositivo tenendo conto del valore della causa (€ 11.000,00), della trattazione e dei parametri vigenti.

Tenuto conto che la citazione in giudizio del terzo chiamato è conseguenza dell’azione della ricorrente e che tuttavia non v’è soccombenza attesa l’adesione di questi alle ragioni della domanda, debbono compensarsi le relative spese.
P.Q.M.
Il Tribunale, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando,
RESPINGE la domanda;
CONDANNA la ricorrente all’integrale rifusione delle spese della presente lite che liquida in favore della resistente X in € 4.835,00 per compensi, € 0,0 per spese ed oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;
CONDANNA la ricorrente all’integrale rifusione delle spese della presente lite che liquida in favore di Z in € 4.835,00 per compensi, € 0,0 per spese ed oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge;
DICHIARA integralmente compensate le spese fra le altre parti.
MANDA alla cancelleria per comunicazione.

Bologna, 3 aprile 2019
Il Giudice
dott. Marco Gattuso
Pubblicazione il 03/04/2019