La Pas nella giurisprudenza della Cassazione

(di Valeria Cianciolo – Ondif Sez. Bologna)

L’espressione alienazione genitoriale compare per la prima volta nelle sentenze della Corte di cassazione civile nel 2012[1].

Nel 2013 il Palazzaccio con una sentenza che ha fatto grande clamore[2] affermava il principio utopistico: spetta al giudice, ricorrendo alle proprie cognizioni, ovvero avvalendosi di idonei esperti, verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti aspetti difformi dagli orientamenti tradizionali, talvolta criticati e comunque non da tutti condivisi, come nel caso della sindrome di alienazione genitoriale.

Dal 2016 gli Ermellini hanno sposato una tesi che si può definire “realistica”.

La decisione che ha impresso questa svolta realistica, è la Cass. civ. Sez. I, 8 aprile 2016, n. 6919 nella quale si chiarisce che “non compete a questa Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche e, nella specie, della controversa PAS”. Compete invece, al giudice provare la eventuale alienazione genitoriale, prescindendo dalla verifica della validità scientifica o meno della sindrome, affermando che qualora il genitore non affidatario o collocatario, per conseguire la modifica delle modalità di affidamento del figlio minore, denunci l’allontanamento morale e materiale di quest’ultimo, attribuendolo a condotte dell’altro genitore, a suo dire espressive di una Pas (sindrome di alienazione parentale), il giudice di merito (prescindendo dalla validità o invalidità teorica di detta patologia) è tenuto ad accertare, in concreto, la sussistenza di tali condotte, alla stregua dei mezzi di prova propri della materia, quali l’ascolto del minore, nonché le presunzioni, ad esempio desumendo elementi anche dalla eventuale presenza di un legame simbiotico e patologico tra il figlio ed il genitore collocatario, motivando quindi adeguatamente sulla richiesta di modifica, tenendo conto che, a tale fine, e a tutela del diritto del minore alla bigenitorialità ed alla crescita equilibrata e serena, tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali del figlio con l’altro genitore, al di là di egoistiche considerazioni di rivalsa su quest’ultimo 

Con questa sentenza del 2016 alla quale sembra ispirarsi il decreto del TM di Brescia in epigrafe, la Cassazione ha enunciato il seguente principio: “In tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da sé, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalità di affidamento, il giudice di merito è tenuto ad accertare la veridicità in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena.”


[1] Cass. civ. Sez. I, 14 maggio 2012, n. 7452. In questa sentenza la madre della minore ricorreva per cassazione lamentando che la diagnosi di alienazione genitoriale non solo era stata recepita acriticamente dal giudice, ma era stata effettuata da una psicologa (e non da uno psichiatra) la quale non aveva tenuto in considerazione i rilievi critici del suo consulente di parte. La madre della minore lamentava anche che la sindrome da alienazione parentale, allorché sussiste, deriva da una situazione di grave conflittualità fra i genitori, onde le relative responsabilità vanno ascritte a entrambi e non a uno solo di essi. La Corte di cassazione rigettava il ricorso affermando che nessuna norma impone di affidare a medici piuttosto che a psicologi le consulenze tecniche riguardanti disturbi psicologici essendo la verifica della concreta qualificazione dell’esperto chiamato a rendere la consulenza compito esclusivo del giudice di merito il quale peraltro, nella sua decisione, ben può motivare per relationem richiamando il contenuto della consulenza tecnica di ufficio. (cfr. G. Dosi, Lessico di diritto di Famiglia, voce Alienazione Parentale).

[2] Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 2013, n. 7041