Il giudice può decidere anche senza ascoltare il minore di anni 6 Nota Cass. civ. Sez. I, Ord., 13.02.2019, n. 4246

(di Valeria Cianciolo  – Sez. Ondif di Bologna)

La prima parte del 1° comma dell’art. 337 -octies c. c. dispone che Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

L’ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo tale peculiare forma di partecipazione del minore alle decisioni che lo investono uno degli strumenti di maggiore incisività al fine del conseguimento dell’interesse del medesimo.

La Corte di Appello di L’Aquila con ordinanza in data 5/2/2018, ha confermava il provvedimento pronunciato dal Tribunale di L’Aquila favorevole alla istanza avanzata da Tizia di attribuire a Caietta, figlia sua e di Mevio il cognome paterno a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità attribuita al padre con sentenza passata in giudicato.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso in cassazione Mevio.

il ricorrente lamentava violazione dell’art. 262 c. c. e convenzioni di New York e di Strasburgo in quanto la decisione era stata adottata in primo grado e confermata in appello senza audizione della minore.

A tal riguardo la Corte rammenta un suo precedente (sez. 1, Sentenza n. 6129 del 26/03/2015): “L’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino e in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, nonché dell’art. 315-bis c.c. (introdotto dalla L. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c. c. (inseriti dal D. Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l’art. 155-sexies c. c.). Ne consegue che l’ascolto del minore di almeno dodici anni e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonchè elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse”.

Nella fattispecie tuttavia trattandosi di un minore di età inferiore a sei anni appare motivata e ragionevole la decisione del giudice di merito di ometterne l’ascolto come correttamente motivato nella sentenza che ha ritenuto, in ragione dell’età, che la minore non potesse discernere in ordine alla materia trattata quale fosse il proprio intendimento.

Il giudice ha il dovere di “non” ascoltare il minore non solo qualora quest’ultimo non abbia capacità di discernimento (vuoi per ragioni d’età, vuoi per altre cause[1], ma anche quando l’ascolto si porrebbe in contrasto con il suo stesso interesse – e questo lo si ricava(va) dallo “spirito” complessivo delle norme e, ora, anche dall’art. 336 bis, 1° comma, c. c. che esclude quest’attività anche quando appare manifestamente superflua[2].

Il diritto del minore a essere ascoltato non deve mai, in altre parole, ritorcersi contro, andare a danno di chi ne è titolare, perchè si arriverebbe ad una distorsione di questo diritto. Più che un’eccezione al principio dell’ascolto, quello della non-contrarietà al suo interesse è un suo limite intrinseco, connaturato all’esistenza stessa del diritto. Cosicché, accanto al diritto del minore a essere ascoltato, trova spazio anche il suo diritto a “non” essere ascoltato (si pensi, anche, al caso in cui il figlio manifesti una volontà in tal senso, e purché il giudice se ne sia accertato).

In entrambe queste ipotesi – sia qualora il giudice escluda la capacità di discernimento di un soggetto maggiore di dodici anni o qualora la ritenga, invece, sussistente in uno più giovane, sia qualora egli decida di non procedere all’ascolto perché giudicato contrario all’interesse del minore– egli dovrà spiegare e giustificare la propria decisione.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. GENOVESE F. Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso nr. 10827/2018 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in Roma Via Trionfale 21 presso lo studio dell’Avv.to F. C. e rappresentato e difeso dall’Avv.to I. D.B. giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L. in qualità di esercente la potestà genitoriale sulla minore B.M.V. elettivamente domiciliata in Roma Via Trionfale 21 presso lo studio dell’Avv.to F. C. e rappresentato e difeso dall’Avv.to I. D. B. giusta procura speciale in calce al ricorso;

– controricorrente –

CURATORE SPECIALE della minore B.M.V.;

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la CORTE DI APPELLO DELL’AQUILA;

avverso l’ordinanza nr. 68/2018 della CORTE DI APPELLO DI L’AQUILA in data 5/02/2018;

udita la relazione del Consigliere, Dott. Marina Meloni svolta nella camera di consiglio della prima sezione civile in data 3/12/2018;

lette le conclusioni scritte del P.G. in persona del dott. De Augustinis U., che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ed in subordine il rigetto

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di L’Aquila con ordinanza in data 5/2/2018, ha confermato il provvedimento pronunciato dal Tribunale di L’Aquila favorevole alla istanza avanzata da B.L. di attribuire a B.M.V., figlia sua e di P.G. il cognome paterno a seguito della dichiarazione giudiziale di paternità attribuita a P.G. con sentenza passata in giudicato.

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso in cassazione P.G. affidato a sei motivi. B.L. ha depositato controricorso.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso ed in subordine il rigetto.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 125 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il ricorso è stato introdotto con domanda al Giudice Tutelare incompetente.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione degli artt. 737 e 738 c.p.c. per essere stato il procedimento trattato dal Presidente del Tribunale invece che dal Collegio.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione degli artt 70 e 71 c.p.c. per la mancata partecipazione del Pubblico Ministero al giudizio.

I tre motivi di ricorso sono infondati e devono essere respinti. Infatti, come correttamente dichiarato dal Giudice di merito, la mera intestazione del ricorso al Giudice Tutelare non comporta alcuna nullità sia perché, come afferma la Corte di Appello, nelle conclusioni la ricorrente ha poi esattamente investito il Tribunale dei Minorenni competente, sia perché l’istanza presentata è stata effettivamente decisa ed accolta dal Tribunale competente in composizione collegiale nel pieno rispetto del contraddittorio. Del pari infondata è la censura relativa alla trattazione del procedimento da parte del solo Presidente, davanti al quale sono state solo sentite le parti, in quanto, al contrario, risulta poi dalla sentenza impugnata che il provvedimento è stato regolarmente emesso dall’intero Collegio.

Infine per quanto riguarda il P.M. occorre osservare che il predetto era stato regolarmente posto in condizione di svolgere l’attività in giudizio del quale aveva avuto regolare comunicazione. Infatti per l’osservanza delle norme che prevedono l’intervento obbligatorio del P.M. nel processo civile è sufficiente che gli atti siano comunicati all’ufficio del P.M., per consentirgli di intervenire nel giudizio, senza che rilevi, o possa in alcun modo essere oggetto di censura o di nullità processuale, il modo dell’intervento di tale organo e l’uso fatto del potere di intervento a lui attribuito, trattandosi di modalità rimesse alla sua diligenza. (Sez. 1, Sentenza n. 1345 del 21/01/2005).

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione dell’art. 324 c.p.c. in quanto la decisione adottata in primo grado e confermata in appello era in contrasto con il giudicato formatosi a seguito della sentenza della Corte di Cassazione 25735/2016 nella quale, dopo aver accertato la paternità, nulla era stato previsto in merito al cambio di cognome della minore. Il motivo è infondato in quanto risulta dalla sentenza impugnata che nel giudizio sopra indicato nessuna domanda era stata avanzata in ordine al cambio di cognome della minore e pertanto è agevole osservare che sul punto non si è formato alcun giudicato.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta violazione dell’art. 262 c. c. e convenzioni di New York e di Strasburgo in quanto la decisione è stata adottata in primo grado e confermata in appello senza audizione della minore.

A tal riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che (sez. 1, Sentenza n. 6129 del 26/03/2015) “L’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che li riguardino e in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 Convenzione di Strasburgo 25 gennaio 1996, ratificata con la L. n. 77 del 2003, nonché dell’art. 315-bis c.c.(introdotto dalla L. n. 219 del 2012) e degli artt. 336-bis e 337-octies c. c. (inseriti dal D. Lgs. n. 154 del 2013, che ha altresì abrogato l’art. 155-sexies c.c.). Ne consegue che l’ascolto del minore di almeno dodici anni e anche di età minore ove capace di discernimento, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse”.

Nella fattispecie tuttavia trattandosi di un minore di età inferiore a sei anni appare motivata e ragionevole la decisione del giudice di merito di ometterne l’ascolto come correttamente motivato nella sentenza che ha ritenuto, in cagione dell’età, che la minore non potesse discernere in ordine alla materia trattata quale fosse il proprio intendimento.

Deve infine essere rigettato il sesto motivo di ricorso in quanto correttamente sono state liquidate le spese di giudizio anche nei confronti della parte vittoriosa B.L. madre della minore presente in giudizio. Infatti la condanna alle spese in favore di quest’ultima è legittima in quanto il procedimento in esame è sostanzialmente contenzioso e la madre della minore B.M.V. agisce come genitore nell’esercizio della potestà genitoriale a differenza del curatore che rappresenta la minore in giudizio ed agisce in sua rappresentanza a presidio del conflitto di interessi.

Il ricorso è pertanto infondato e deve essere respinto in ordine a tutti i motivi con condanna alle spese del giudizio di legittimità.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art.13, comma 1quater, perché il processo risulta esente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente che si liquidano in Euro 5.200 complessivamente di cui Euro 200,00 per spese oltre iva e cap come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione della Corte di Cassazione, il 3 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2019


[1]             Gullotta, Il  minore e la sua capacità di discernimento, in Contri (a cura di), Minori in giudizio. La convenzione di Strasburgo, Milano, 2012, 111 e seg.

[2]             Si pensi al caso in cui siano discussi solo motivi patrimoniali relativi ai coniugi; cfr. Trib. Milano, 20 marzo 2014 (ord.), in www.ilcaso.it.