Cassazione Civ., Sez. VI, ordinanza 15 febbraio 2019 n. 4659 E’ possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio verso l’altro

(di Valeria Cianciolo  – Sez. Ondif di Bologna)

L’azione generale di cui all’art. 2041 c.c. ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’ obbligazione naturale; sarà pertanto possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, da parametrare sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti (Cass. sez. III, 15 maggio 2009, n. 11330).

Un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorioconfigura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (Cass. sez. II, 13 marzo 2003, n. 3713). Senza dimenticare che, da sempre, la giurisprudenza di legittimità ritiene che l’arricchimento senza causa non sussiste se lo squilibrio economico, a favore di una parte ed in pregiudizio dell’altra, sia voluto dagli interessati, cioè quando il trasferimento dell’utilità economica trovi giustificazione nel consenso della parte che assuma di essere danneggiata, concretizzandosi in una vera e propria attribuzione patrimoniale a fondo perduta atta ad avvantaggiare il soggetto che si presume arricchito; la volontaria prestazione esclude l’ingiusto arricchimento, quali che siano per entrambi gli interessati le conseguenze patrimoniali economiche, vantaggiose o svantaggiose, della libera e concorde determinazione della loro volontà (Cass. sez. I, 27 febbraio 1978, n. 1024).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18448-2017 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA xxxxxxx, presso lo studio dell’avvocato FM, rappresentato e difeso dall’avvocato LD;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE xxxxxx, presso lo studio dell’avvocato GLC, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LMF;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 92/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 17/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 08/11/2018 dal Consigliere Dott. SESTINI DANILO.

Svolgimento del processo

che:

P.M. convenne in giudizio l’ex convivente more uxorio C.V. chiedendo che, ai sensi dell’art. 2041 c.c., fosse condannato a corrisponderle la metà del valore di un immobile intestato al solo convenuto, che era stato costruito col rilevante contributo economico dell’attrice, o al pagamento di altra somma pari agli importi investiti dalla P. nella costruzione dell’immobile;

il Tribunale di Ivrea accolse la domanda per l’importo di 80.000,00 Euro e condannò il C. al pagamento di tale somma;

in parziale accoglimento del gravame di quest’ultimo, la Corte di Appello di Torino ha ridotto la somma dovuta a 25.000,00 Euro e, rigettato l’appello incidentale della P., ha condannato il C. al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio;

ha proposto ricorso per cassazione il C., affidandosi a tre motivi illustrati da memoria; ha resistito l’intimata con controricorso.

Motivi della decisione

che:

col primo motivo, articolato in due sotto-motivi, il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, “e/o omessa o insufficiente motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5”: il C. afferma (sub IA) la “inapplicabilità tout court dell’art. 2041 c.c. in ambito di convivenza more uxorio”,- dovendosi ricondurre gli esborsi effettuati in corso di convivenza all’adempimento di doveri morali e sociali ex art. 2034 c.c., e sostiene (sub IB) che la Corte ha “errato nel valutare solo l’aspetto economico”, senza considerare che i supposti trasferimenti di somme non erano privi di causa, in quanto effettuati dalla P. “nell’ottica di contribuire alla ristrutturazione della “casa coniugale””, anche al fine di provvedere alle necessità abitative del figlio allora minorenne;

premessa l’inammissibilità della censura formulata in termini di “omessa o insufficiente motivazione” (ai sensi del vecchio testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), il primo sotto-motivo è inammissibile ex art 360 bis c.p.c., in quanto la decisione è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità (da cui non v’è ragione di discostarsi), secondo cui è “possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass. n. 11330/2009; cfr. anche Cass. n. 1277/2014 e Cass. n. 14732/2018); il secondo sotto-motivo è parimenti inammissibile perché mira a conseguire una diversa valutazione di merito circa il fatto che gli esborsi travalicassero, nello specifico, i limiti di proporzionalità e adeguatezza rispetto al mero adempimento di un’obbligazione naturale; tanto più perché il difetto di una giusta causa non va inteso – come parrebbe proporre il ricorrente- quale assenza di una ragione che abbia determinato la locupletazione in favore dell’arricchito, ma quale carenza di una ragione che consenta a quest’ultimo di trattenere quanto ricevuto;

il secondo motivo (che denuncia nuovamente la violazione o falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e l’omesso o erroneo esame di un fatto decisivo) è anch’esso inammissibile in quanto non contiene alcuna specifica censura in iure, limitandosi a contestare l’apprezzamento delle prove da parte della Corte e a sollecitare una lettura di segno opposto, e non individua specificamente alcun fatto effettivamente decisivo di cui la sentenza abbia omesso l’esame;

il terzo motivo (in punto di violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.) censura la sentenza per avere condannato il C. al pagamento delle spese del grado di appello, nonostante il parziale accoglimento dell’appello principale e il rigetto dell’impugnazione incidentale;

il motivo è infondato in quanto la Corte si è attenuta al criterio della soccombenza, sulla base dell’esito complessivo della lite (cfr. Cass. 11423/2016), che ha visto accogliere seppure parzialmente- la domanda della P., e non è censurabile in sede di legittimità la scelta del giudice di merito di non avvalersi della facoltà di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite;

al rigetto del ricorso consegue la condanna del C. al pagamento delle spese del presente giudizio;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art.13, comma 1- quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2019