L’assegnazione della casa familiare è legittima anche se la coppia non vi ha mai vissuto Cass. civ. Sez. I, Sent., 7 maggio 2019, n. 12023

(di Valeria Cianciolo – Sez. Ondif di Bologna)

La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, non direttamente collegato al precedente matrimonio, ma costituito dalle pattuizioni che i coniugi intendono concludere in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, a seconda della situazione pregressa e concernenti le altre statuizioni economiche.

Dunque, l’accordo mediante il quale i coniugi pongono consensualmente termine alla convivenza può includere ulteriori pattuizioni. Si tratta di accordi distinti da quelli che definiscono il suo contenuto tipico e ad esso non immediatamente riferibili. Detti accordi sono collegati, con il patto principale, ma pur trovando la loro occasione nella separazione consensuale, non hanno causa in essa, risultando semplicemente assunti “in occasione” della separazione medesima, senza dipendere dai diritti e dagli obblighi che derivano dal perdurante matrimonio, ma costituendo espressione di libera autonomia contrattuale (nel senso che servono a costituire, modificare od estinguere rapporti giuridici patrimoniali.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14626/2016 proposto da:

S.C., elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. XXXXX n. 123, presso lo studio dell’Avvocato V. S., che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
D.M.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via XXXXX n. 36, presso lo studio dell’Avvocato S. F., che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Z. S. C., giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 319/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/01/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2019 dal cons. TRICOMI LAURA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DE RENZIS LUISA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato V. S., che si è riportato;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato S. F., che si è riportato.

Svolgimento del processo

S.C. propone ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata nei confronti di D.M.S. con due mezzi, seguiti da memoria. D.M. replica con controricorso e memoria.

La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, assegnava a D.M.S., collocataria della figlia, l’abitazione sita in (OMISSIS), già destinata convenzionalmente ad abitazione della D.M. e della figlia, alla stregua degli accordi conclusi in sede di separazione consensuale, e confermava la misura dell’assegno di mantenimento per la figlia posto a carico del S..

La controversia perviene all’odierna udienza a seguito di rinvio a nuovo ruolo disposto dalla Sezione Sesta – Prima con ordinanza interlocutoria in data 27/10/2017.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di legge. Il ricorrente, sulla premessa che la disciplina relativa alla assegnazione della casa familiare non presenta differenze a seconda che attenga a separazione o a divorzio, sostiene che la Corte di appello di Roma non si sarebbe attenuta alla definizione di casa familiare ed all’interpretazione delle relative norme seguita in sede di legittimità: in proposito rammenta che l’abitazione sita in (OMISSIS) assegnata alla D.M. ed alla figlia, pur acquistata allo scopo di costituire l’abitazione familiare dai due coniugi, non era stata mai stata abitata dall’intero nucleo familiare e la D.M. e la figlia vi si erano trasferite solo a seguito della separazione consensuale omologata in data (OMISSIS), con la quale le parti avevano ciò convenuto al punto 3.

1.2. Il primo motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Invero, come si evince dalla motivazione, la statuizione non ignora i principi interpretativi in tema di casa familiare, ma prende atto e si sofferma sulla peculiarità della vicenda in esame rimarcando, con un accertamento in fatto non contestato, che nello specifico con i patti di separazione consensuale le parti liberamente e convenzionalmente avevano deciso di destinare a stabile dimora della figlia, all’epoca minore, e della madre collocataria il predetto immobile (di cui i coniugi erano comproprietari) e sulla scorta di tale circostanza ha affermato che l’assegnazione rispondeva all’esigenza di tutela degli interessi della figlia, con particolare riferimento alla conservazione del suo habitat domestico, inteso come centro della vita e degli affetti della medesima, anche se tale habitat, nella peculiarità del caso concreto, era sorto per volontà comune dei genitori proprio a seguito della separazione.

La statuizione invero, anche se in maniera sintetica, valorizza da un lato la fonte dell’obbligazione, e cioè, il patto sottoscritto convenzionalmente in sede di separazione, e dall’altro l’effetto concreto conseguito alla sua attuazione nel corso degli anni, e cioè la creazione di un ambiente domestico da tutelare per la figlia.

Il motivo di ricorso, focalizzato esclusivamente sulla disciplina codicistica, trascura del tutto il cuore motivazionale della statuizione senza, peraltro, smentire né diversamente illustrare la comune volontà delle parti, emergente dai patti di separazione, in merito alla volontà di attribuire all’abitazione in questione la funzione di casa familiare.

Sotto questo profilo la statuizione appare immune da vizi.

Risulta invero decisiva la circostanza che l’assegnazione dell’immobile in questione sia conseguita alla pregressa pattuizione concordata tra le parti in sede di separazione.

Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, la separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata, tanto che “in relazione a questi ultimi, detti patti non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c.” (Cass. n. 16909 del 19/08/2015).

Va altresì ricordato che i patti di separazione in tanto possono essere omologati in quanto siano conformi ai superiori interessi della famiglia (Cass. n. 9174 del 09/04/2008).

Nel caso di specie la pattuizione convenzionale di cui si discute come correttamente ritenuto dalla Corte di appello – era intesa ad assicurare una stabile dimora per la figlia mediante la destinazione a tale scopo dell’abitazione in questione, con una modalità diversa da quella dettata dal c.c. che all’epoca prevedeva all’art. 155, comma 4, vigente ratione temporis “L’abitazione familiare spetta di preferenza, e ove possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”, avendo le parti prescelto, a tale scopo, un’abitazione diversa da quella ove aveva in precedenza abitato il nucleo familiare, sia pure situata nel medesimo edificio, e l’avvenuta omologazione ne aveva sancito la conformità agli interessi della famiglia e della minore.

Ciò permette di concludere che la statuizione in esame non integra una ordinaria applicazione della disciplina codicistica in tema di casa familiare, come intende sostenere il ricorrente lamentandone l’erroneità, ma si fonda sulla accertata ed incontestata circostanza che l’assegnazione della casa di cui si controverte (in comproprietà tra i coniugi) alla D.M. conseguì all’accordo raggiunto dalle stesse parti in sede di separazione consensuale di destinarla a stabile abitazione familiare per la figlia, all’epoca minore, accordo ritenuto meritevole di tutela e, quindi, omologato in quanto non in conflitto con il disposto di cui all’art. 155 c.c., del quale avrebbe altrimenti costituito un’illecita elusione, ed in quanto destinato a produrre i suoi effetti, in assenza di modifiche della situazione di fatto, anche nella successiva fase del divorzio.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di atti e documenti decisivi per il giudizio, sia in merito alla questione della destinazione abitativa di cui al primo motivo, sia in merito alla determinazione dell’assegno di mantenimento previsto a favore della figlia per il quale, a dire del ricorrente, la Corte di appello non avrebbe valutato la maggiore disponibilità economica della madre, il cui reddito negli anni si sarebbe incrementato, rispetto al proprio, ridimensionatosi nel tempo.

2.2. Il secondo motivo è inammissibile perché non risponde al modello del vizio motivazionale dedotto in quanto non individua specifici fatti decisivi di cui sia stato omesso l’esame e sostanzialmente sollecita, sia in merito alla casa familiare che all’assegno di mantenimento per la figlia, una rivalutazione delle emergenze istruttorie, conforme a quanto propugnato dallo stesso ricorrente, inammissibile in sede di legittimità.

3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

P.Q.M.

– Dichiara Inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.100,00=, oltre Euro 200,00= per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis;

– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2019.