Permanenza regolare in Italia del genitore e sviluppo psico-fisico del minore Nota a Tribunale per i Minorenni di Firenze, decr. 22 giugno 2018

(di Valeria Cianciolo  – Sez. Ondif di Bologna)

Il decreto del Tribunale per i Minorenni di Firenze ha autorizzato la permanenza in Italia ex art. 31 TUI del genitore ricorrente, il quale in seguito alla morte improvvisa della moglie aveva deciso di venire in Italia, unitamente ai figli minori e nell’interesse degli stessi, per ricongiungersi con i suoi familiari, da anni regolarmente soggiornanti su territorio italiano, in modo da poter contare sul loro appoggio nella crescita dei figli.

Come è noto, ai sensi dell’art. 31 D.Lgs. n. 286/98, il Tribunale può autorizzare l’ingresso e la permanenza di un familiare di un minore straniero per un tempo determinato per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova sul territorio italiano, dovendosi revocare l’autorizzazione quando vengano a cessare i gravi motivi di cui sopra.

L’art. 31 citato delinea, pertanto, due distinte situazioni giuridiche soggettive[1]: da un lato, il diritto del minore ad avere l’assistenza e la cura del proprio familiare in Italia; dall’altro, il diritto del familiare a dare assistenza al minore stesso, in ragione della tutela di quel particolare bene della vita costituito dall’unità della famiglia e della reciproca assistenza tra i suoi membri.

Si tratta di due posizioni complementari, di cui quella del familiare subordinata a quella del minore, titolare di un interesse che, infatti, costituisce l’oggetto primario della tutela apprestata dalla disposizione in esame, come risulta dalla sua rubrica (“Disposizioni a favore dei minori“) e, ancor più significativamente, dall’essere la valutazione sulla sussistenza dei “gravi motivi” rimessa all’apprezzamento del Tribunale per i minorenni.

Ne deriva che l’interesse del familiare ad ottenere l’autorizzazione all’ingresso o alla permanenza nel territorio nazionale riceve tutela in via riflessa, ovvero nella misura in cui sia funzionale a salvaguardare lo sviluppo-psicofisico del minore, che è il bene giuridico protetto dalla norma nonché la ragione unica del provvedimento autorizzatorio.

La temporaneità dell’autorizzazione non esclude che essa possa essere prorogata e che, al termine del periodo previsto, permanga la sua ragione giustificativa (i “gravi motivi”), né che possa essere revocata prima della scadenza “quando vengano a cessare i gravi motivi che ne giustificavano il rilascio”, essendo la condizione psicofisica del minore, invero, una situazione naturalmente suscettibile di mutare ed evolversi nel tempo.

Secondo il recente orientamento della giurisprudenza bisogna intendere i “gravi motivi” quali motivi legati allo sviluppo del minore, da valutare nel caso concreto secondo età e condizioni di salute del minore che non devono essere necessariamente caratterizzati dall’eccezionalità. Quindi, si deve trattare di un grave danno subito dal minore, secondo una valutazione di tipo prognostico sulle conseguenze negative e peggiorative delle sue condizioni di vita a cui verrebbe esposto se il genitore venisse allontanato o se egli dovesse essere sradicato dal proprio ambiente in ipotesi di espulsione del genitore stesso. E’ evidente quindi che tali motivi non possono essere catalogati e standardizzati, bensì valutati necessariamente in relazione al caso concreto, guardando i parametri richiamati riguardanti la vita del minore ed orientando la decisione anche e soprattutto al profilo che riguarda il suo radicamento nel territorio italiano.

Nel 2018[2] il Palazzaccio ha confermato e consolidato il principio secondo cui, la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, (prevista dall’art. 31 del D.Lgs. n. 286 del 1998) in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto.

Deve trattarsi, peraltro, di situazioni di non lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.

Il succinto provvedimento fiorentino sposa questo orientamento nel pieno rispetto del “best interest child” ed offre una lettura dell’art. 31 del  Testo Unico sull’immigrazione, seguendo la traccia già fornita da alcune recenti pronunce precedenti ed al contempo consolidandone la portata nel rinforzare, ancora una volta, il parametro del superiore interesse del minore, come criterio guida di ogni decisione che lo riguarda.


[1] L’art. 31 D. Lgs. n. 286/98 prevede, altresì, due ulteriori fattispecie di revoca dell’autorizzazione, dovute ad attività del familiare incompatibili “con le esigenze del minore … o con la permanenza in Italia”.

Ne consegue che comportamenti dell’adulto richiedente, incompatibili con le esigenze del minore, condurranno il Tribunale a negare il rilascio dell’autorizzazione (o a revocarla in caso di condotte sopravvenute), essendo una valutazione necessariamente implicita in quella concernente la sussistenza dei “gravi motivi” e non scindibile da essa.

[2] Cassazione civile, sez. I, sentenza 21 febbraio 2018, n. 4197