Giovanni Ugo Bargiacchi (avv. in Roma)
Con sentenza n. 12174/19 – Pres. Dott. Bronzini – pubblicata il 08.05.2019, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla nozione di “fatto materiale contestato” con riferimento all’art. 23 d. lgs. 23/15.
Brevemente si riporta che ai prestatori di lavoro assunti con contratto a tutele crescenti, disciplinato dal suddetto decreto legislativo ed applicato: I) a coloro che sono stati assunti a partire dal 07.03.2015; II) a chi aveva un contratto di apprendistato o a tempo determinato ed è stato convertito a tempo indeterminato; III) a chi lavora per un’azienda che, dopo il 7 marzo 2015 ha superato la soglia dei 15 dipendenti in una sola unità produttiva, ovvero 60 dipendenti sull’intero territorio nazionale, possono richiedere al Giudicante la tutela reale, solamente nei seguenti casi: A) licenziamento per motivi discriminatori; B) licenziamento radicalmente nullo o inesistente; C) licenziamento per insussistenza del fatto materiale contestato.
Ciò premesso, con riferimento alla suddetta ultima ipotesi, appare utile comparare la disciplina attualmente vigente circa la nozione di “insussistenza del fatto materiale contestato”, con quella previgente dell’art. 18 legge n. 300/70 come modificata dalla legge n. 92/12, ove si fa riferimento solamente alla insussistenza del “fatto contestato”. In particolare, alcuni arresti giurisprudenziali del tutto conformi tra loro hanno riferito una lettura molto ampia della nozione di “insussistenza del fatto contestato”, la quale “comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente” (cfr. ex multis Cass. n. 10019/16, Cass. n. 20540/16).
Orbene, la Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha ritenuto applicabili i principi testé narrati anche alla disciplina dettata dal d. lgs. 23/15.
Difatti, osserva la Corte che “pur dovendosi valutare il tenore letterale della nuova disposizione, nondimeno sia parimenti indubitabile che le espressioni utilizzate (id est: “fatto materiale contestato) non possano che riferirsi alla stessa nozione di “fatto contestato (…)” ed ancora “quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato” abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo di carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione”.
Alla luce di ciò, si deduce il principio di diritto secondo cui: “ai fini della pronuncia di cui al d. lgs. n.23/15, art. 3, comma II, l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia avuto rilievo disciplinare”.