LE SOCIETÀ DI COMODO

di Maurizio Villani

In merito alla speciale normativa fiscale delle società di comodo, la Corte di Cassazione ha stabilito importanti principi con varie sentenze.

Infatti, è stato chiarito che, in materia di società di comodo, i parametri previsti dall’art. 30 della legge n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, il cui mancato raggiungimento costituisce elemento sintomatico della natura non operativa della società, spettando, poi, al contribuente fornire la prova contraria e dimostrare l’esistenza di situazioni oggettive e straordinarie, specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto (Cass., 21/10/2015, n. 21358).

[restrict userlevel=”editor”] E’ stato poi ulteriormente precisato che i parametri previsti dall’art. 30 della L. n. 724 del 1994, nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 35 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella L. n. 248 del 2006, sono fondati sulla correlazione tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi, sicché la determinazione dell’imponibile è effettuata sulla base di precisi criteri di legge, che escludono qualsiasi discrezionalità deduttiva, imponendosi in sede sia di accertamento, sia di determinazione giudiziale, salva la prova contraria da parte del contribuente (Cass., 05/07/2016, n. 13699).

L’ art. 30 della L. n. 724 del 1994 è stato, quindi, qualificato come una presunzione legale relativa, in base alla quale una società si considera “non operativa” se la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società (cd. “test di operatività dei ricavi”), senza che abbiano rilievo le intenzioni e il comportamento dei soci, ma poi, al successivo comma 4-bis, consente la presentazione dell’istanza di interpello (chiedendo la disapplicazione delle disposizioni antielusive), in presenza di situazioni oggettive (ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore), che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito di cui al precedente comma 1.

Così rispondendo all’esigenza di dare piena attuazione al principio di capacità contributiva, di cui la disciplina antielusiva è espressione, lasciando nel contempo spazio al diritto di difesa del contribuente, sufficientemente garantito dagli strumenti del contraddittorio e dalla necessità di una motivazione puntuale della condotta elusiva nell’avviso di accertamento (Cass., 20/04/2018, n. 9852; ultimamente, Corte di Cassazione – Quinta Sezione Civile – Ordinanza n. 31626, depositata in cancelleria il 04/12/2019).

Ed è stato, peraltro, escluso che il meccanismo di determinazione presuntiva del reddito di cui all’art. 30 della L. n. 724 del 1994, superabile mediante prova contraria, si ponga in contrasto con il principio di proporzionalità, rispetto al quale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 13 marzo 2007, causa C-524/04) ha affermato che una normativa nazionale che si fondi sull’esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se un’operazione consista in una costruzione di puro artificio ai soli fini fiscali, e quindi elusiva, va considerata come non eccedente quanto necessario per prevenire pratiche abusive, ove il contribuente sia messo in grado, senza oneri eccessivi, di dimostrare le eventuali ragioni commerciali che giustificano detta operazione (Cass., 20/06/2018, n. 16204).

Pertanto, la presunzione de qua, in ordine alla qualificazione della contribuente come non operativa ed alla conseguente determinazione del reddito minimo imponibile, trova la sua fonte direttamente nella norma applicata, per cui il giudice del merito, verificata la ricorrenza dei presupposti oggettivi valorizzati dal legislatore, non è tenuto ad illustrare ulteriori e diverse massime di esperienza che la sorreggessero.

L’applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 30 della L. n. 724 del 1994 deriva necessariamente (fatta salva la possibilità di prova contraria) dal mancato superamento del cd. “test di operatività dei ricavi” e non è esclusa, di per sé sola, dalla circostanza che il contribuente, per esempio, svolge, nel rispetto del proprio statuto, attività di carattere indubbiamente commerciale, di natura alberghiera, per la quale ha ottenuto licenza e redige bilancio annuale.

Invero, il disposto della norma non consente discrezionalità deduttiva, né prende in considerazione la specie di attività esercitata dalla società non in linea con la correlazione – tra il valore di determinati beni patrimoniali ed un livello minimo di ricavi e proventi – dettata dal legislatore (salva, si ribadisce, la possibilità di interpello e prova contraria di cui al comma 4-bis del predetto art. 30).

Inoltre, deve considerarsi che, secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, in materia di società di comodo, “l’impossibilità”, per situazioni oggettive di carattere straordinario, di conseguire il reddito presunto secondo il meccanismo di determinazione di cui all’art. 30 della L. n. 724 del 1994, la cui prova è a carico del contribuente, non va intesa in termini assoluti bensì economici, aventi riguardo alle effettive condizioni del mercato (Cass., 20/06/2018, n. 16204; Cass., 12/02/2019, n. 4019).

Le condizioni del mercato, quindi, costituiscono, nella fattispecie legale astratta, un fatto la cui allegazione e prova è sempre onere della contribuente.

Infine, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare che, in tema di accertamento fondato su studi di settore, la causa di esclusione della presunzione di non operatività delle società di mero godimento (cd. società di comodo) prevista dall’art. 30, comma 1, n. 6-sexies della L. n. 724 del 1994, è una norma sostanziale, idonea ad incidere direttamente sulla decisione di merito, sicché è priva di efficacia retroattiva (Cass., 17/07/2018, n. 18912).

Infatti, la causa di esclusione della congruità e coerenza delle società ai fini degli studi di settore, prevista dall’art. 30, comma 1, num. 6-sexies, introdotta dall’art. 1, comma 128, lett. c), della legge 24 dicembre 2006, n. 244, con effetto dall’1 gennaio 2008, non ha natura neppure latu sensu processuale. [/restrict] [register_form]

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