LA CASSAZIONE INTERVIENE NUOVAMENTE SULLE FIDEIUSSIONI OMNIBUS: IN UN PROVVEDIMENTO CHE NON “RIBALTA” L’INDIRIZZO ORAMAI CONSOLIDATO, SI INDICA LA NECESSITÀ DI CONTESTARE PUNTUALMENTE LE CLAUSOLE DEL CONTRATTO “A VALLE” Cass. civ., sez. III, ord., 10 novembre 2020, n. 25273

a cura di Andrea Sirotti Gaudenzi

Avvocato cassazionista, docente universitario e direttore di trattati giuridici. Ha patrocinato dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea e alla Corte europea dei diritti dell’uomo. è responsabile scientifico di vari enti in Italia e all’estero, tra cui l’Istituto nazionale per la formazione continua.


Brevi note sull’ordinanza n. 25273/2020

La recente ordinanza emessa dalla Suprema Corte sta provocando un ampio dibattito tra gli operatori del settore bancario, dato che non sono mancate le voci di chi ha espresso perplessità di fronte a un apparente mutamento di orientamento in tema di fideiussioni omnibus. Tuttavia, spesso l’apparenza inganna, così come ingannano le massime e le sintesi fatte circolare da chi ha letto superficialmente il provvedimento dei giudici di legittimità. Infatti, la Cassazione non ha affatto sconfessato il proprio precedente indirizzo che tende a censurare i contratti relativi a fideiussioni omnibus contenenti le clausole presenti nel ben noto schema ABI risalente al 2002 e sottoposto ad ampia e articolata analisi da parte della Banca d’Italia nel provvedimento n. 55/2005.

Nell’ordinanza qui sinteticamente oggetto di analisi, in realtà, si è ribadito expressis verbis che – in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2 della legge n. 287/1990 – la censura dei negozi stipulati «a valle» in applicazione delle intese illecite concluse «a monte» comporta sicuramente la possibilità di prendere in considerazione anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato, a condizione che l’intesa «a monte» sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, come peraltro già chiarito in un provvedimento del 2017 (Cass. civ., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810).

Si ricorda che nel 2017, la Cassazione aveva evidenziato l’erroneità del ragionamento espresso dai giudici di merito che avevano optato per il mancato accoglimento della richiesta giudiziale del fideiussore volta ad accertare la nullità dell’accordo contrattuale anteriore all’esito dell’istruttoria condotta da parte della Banca d’Italia. Nell’occasione, la Suprema Corte aveva chiarito che tale conclusione fosse errata in quanto tesa a istituire «una sorta di potere di prescrizione, necessario e pregiudiziale rispetto ad ogni accertamento del giudice, da parte dell’Autorità garante rispetto ai comportamenti svolti in facto dai soggetti da essa vigilati che non trova riscontro in nessuna previsione di legge nè nei principi regolatori della materia».

Ebbene, la Corte, con l’ordinanza depositata il 10 novembre 2020, non ha messo in discussione questo ragionamento. Le considerazioni svolte, infatti, sono legate più all’esame circa le modalità di affrontare la questione tecnica in sede di giudizio che non all’analisi delle questioni sostanziali.

Infatti, secondo la Corte di legittimità, se – come nel caso in esame – nel lamentare la pretesa nullità di fideiussione omnibus risalente al 1997, la parte si limita ad affermare che l’invalidità deriverebbe dall’adozione dello schema predisposto dall’ABI nell’ottobre 2002, si dovrebbe giungere alla conclusione secondo cui l’intesa non possa essere stata posta in essere materialmente prima del negozio «a monte» denunciato come nullo. In estrema sintesi, la Corte di Cassazione non sembra essersi discostata dal proprio precedente orientamento, limitandosi a far presente la necessità di fornire chiarimenti e allegazioni in ordine alla necessaria valutazione di una condotta anticoncorrenziale che, peraltro, era già riconosciuta come conclamata prima del 2002.

Difatti, la Banca d’Italia si è espressa sulla inadeguatezza e sulla illegittimità delle clausole standard riconducibili al modello adottato dalla maggior parte degli istituti di credito italiani principalmente in due occasioni, ovvero con il provvedimento n. 12 del 3 dicembre 1994 e con il (più noto) provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005. Giova ricordare che – già con il primo provvedimento – la Banca d’Italia ritenne che le c.d. «Norme Bancarie Uniformi» (note con l’acronimo «NBU») fossero in grado di alterare il gioco della concorrenza e potessero costituire un pregiudizio concreto. In particolare, nella circostanza le clausole ricorrenti in tema di prestazione delle garanzie bancarie furono ritenute «lesive della concorrenza».

In estrema sintesi, il provvedimento reso dalla Suprema Corte tende a censurare gli argomenti difensivi della parte che aveva invocato la nullità dell’accordo «a valle». Difatti, secondo la Terza Sezione, il ricorrente, pur avendo impugnato in modo idoneo la parte della ratio decidendi della sentenza di merito relativa alla clausola c.d. «a semplice richiesta», non avrebbe espresso censure adeguate in relazione alla deroga all’art. 1939 c.c., formulando una critica priva di specificità ed esposta in maniera apodittica, dal momento che il ricorrente si sarebbe limitato a denunciare che il richiamo alla clausola in deroga non avrebbe potuto provare il carattere autonomo della garanzia. Sicuramente, la Corte è stata molto severa nell’applicazione dei princìpi in tema di giudizio di legittimità, stante il tenore del provvedimento, ma non si può omettere la constatazione che il controllo operato dalla Cassazione debba essere strettamente legato al rispetto delle disposizioni che lo regolano. Forse, si sarebbe potuto dichiarare la nullità della fideiussione in ragione del riconoscimento del carattere di «prova privilegiata» attribuita in altre sedi ai provvedimenti assunti dalle Autorità indipendenti (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13846) e, quindi, estendendo anche al provvedimento del 1994 tale natura, ma sembra che – nei vari gradi di giudizio – questo aspetto non fosse stato sollevato dalla difesa del garante.

Quindi, la Cassazione non ha rivisto il proprio orientamento sulla nullità (parziale o totale) degli schemi di fideiussione omnibus adottati secondo il modello redatto dall’ABI e già censurato dalla Banca d’Italia, in funzione di Autorità di controllo di quel segmento di mercato sino al 2006, ma ha valutato, nello specifico, le condotte denunciate dal fideiussore e le difese svolte da quest’ultimo a sostegno delle proprie tesi.