Assegno di Maternità agli extracomunitari

avv. Corrado Spina (prof. a contratto Università dell’Aquila)

Interessante sentenza della Corte di Appello di Salerno del 1marzo 2021 n. 206 che ci offre lo spunto per analizzare due temi comuni in questa fase storica, dovuta alla presenza nel nostro Paese di molti extracomunitari sia con il permesso di soggiorno e sia irregolari.

Il primo fa riferimento all’assegno di maternità, mentre il secondo riguarda il “bonus bebè”, entrambi voluti dal Governo Italiano per dare un contributo alle famiglie a seguito della diminuzione delle nascite.

Purtroppo all’interno di questa categoria si determina una disparità di trattamento tra cittadini comunitari ed extracomunitari di non lungo periodo. Nella presente fattispecie di cui all’esame una signora extracomunitaria, con un breve permesso di soggiorno per motivi di lavoro, richiedeva al Comune di Capaccio Paestum assegno di maternità per la nascita del figlio.

Il Comune rigettava la richiesta in quanto la cittadina marocchina era titolare di un permesso di soggiorno in imminente scadenza e non di una carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di lunga durata.

Il giudice di primo grado andava oltre le motivazioni espresse dal Comune, infatti sosteneva che si trattava di un’erogazione sostenuta dal finanziamento pubblico, di natura assistenziale ex art. 38 Cost. co. 1 e non già di natura previdenziale, e finalizzata ad incentivare la natalità. Non rientrava quindi, tra i settori di sicurezza sociale previsti dal Regolamento CE 833/2004, né dall’esclusione di tale beneficio era ravvisabile una disparità di trattamento fra cittadini italiani ed extracomunitari nel rispetto di esigenze di solidarietà e di rimozione di disagio sociale, sicché era infondata la dedotta incostituzionalità della normativa dell’assegno di maternità, né si ravvisava contrasto con la disciplina comunitaria.

Pertanto a seguito di queste motivazioni il Tribunale di Salerno con sentenza del 24 ottobre 2019 rigettava la domanda della sig.ra marocchina compensando le spese di lite.

Avverso tale provvedimento la ricorrente proponeva atto di appello, lamentando la violazione, ex art. 112 c.p.c., del principio tra chiesto e pronunciato, poiché in prima grado aveva richiesto il riconoscimento dell’assegno di maternità di cui all’art. 74 D.Lgs. 151/2001 e non il “bonus bebè”, di cui all’art. 1 co. 125 della legge 190/2014.

Si doleva, inoltre, della violazione del principio di parità di trattamento tra cittadini dei Paesi UE e stranieri extracomunitari in materia di protezione sociale.

Con la contumacia del Comune e la costituzione della sola INPS, dichiaratasi non legittimata in quanto l’assegno di maternità era una prestazione assistenziale concessa dai Comuni ed erogata dall’INPS, solo a seguito di una istruttoria e decisione di merito del Comune, la Corte di Appello di Salerno, con Sentenza del 1marzo 2021 n. 206, così provvedeva “Rigetta l’appello – Compensa e spese processuali”.

Assegno di maternità

L’assegno di maternità è previsto dall’articolo 74 D.Lgs. 151/2001, il quale stabilisce che per ogni figlio nato o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento viene corrisposta una somma alle madri che non beneficiano dell’indennità di maternità. Tale importo viene erogato alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, di cui all’art. 9 D. lgs. 268/1998. Per ottenere tale permesso, ex art. 9, bisogna soggiornare per almeno cinque anni, avere un reddito annuo non inferiore all’assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana (art. 9 co. 2 bis).

Viene, inoltre, osservato che l’assegno di maternità è un sostegno economico che viene erogato quando maggiori sono le esigenze del beneficiario e che la norma «appare introdurre un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, legalmente soggiornanti in Italia, prevedendo solo per i secondo l’ulteriore requisito di essere in possesso» del permesso di lungo periodo.

A tal proposito la Corte di Cassazione, accogliendo l’istanza di dieci diversi Tribunali, con Ordinanza del 19 giugno 2019 sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 co. 125 della legge 23 dicembre 2014 n. 190 e dell’art. 74 D.lgs. 26 marzo 2001 n. 150 nella parte in cui le disposizioni censurate stabiliscono il requisito del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per l’erogazione agli stranieri, rispettivamente, dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità.

In tema di assegno per maternità ex 75 D. lgs. 151/2001, costituisce atto di discriminazione in ragione della nazionalità il diniego della prestazione previdenziale ai cittadini di Paesi terzi per mancato possesso della carta di soggiorno, come emerge dalla lettura congiunta degli artt. 43 e 44 D. Lgs. 286/1998 e delle fonti sovranazionali in materia” (Cass. 23 maggio 2019 n. 14073).

Si ricorda ancora che “vi è difformità, alquanto evidente, tra il contenuto dell’art. 12 direttiva n. 98/2011/UE, interpretato alla luce del Reg. CE n. 883/2004 – per il quale i lavoratori dei paesi terzi dotati di “permesso di soggiorno unico” beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro per quanto riguarda le “prestazioni di maternità e di paternità assimilate” e le “prestazioni familiari” – e quanto disposto dall’art. 75 D. Lgs. 151/2001, nella parte in cui quest’ultima disposizione circoscrive, invece, l’ambito dei potenziali beneficiari dell’assegno di natalità ai soli stranieri lungo-soggiornanti” (Corte di Appello di Milano 20 marzo 2020).

Pertanto, in virtù di numerose sentenze, la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità, con Sentenza del 30 luglio 2020 n. 182 ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale per la quale “se l’assegno di maternità debba essere concesso anche agli extracomunitari con permesso di soggiorno di non lungo periodo”, ed allo stato si è in attesa della decisione.

Bonus Bebè

Nell’ambito degli interventi normativi volti a sostenere i redditi delle famiglie, l’art. 1 co. 125 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015), ha previsto, per ogni figlio nato o adottato dal1 gennaio 2015 un assegno annuo di importo pari a 960 euro, da corrispondere mensilmente fino al terzo anno di vita del bambino, oppure fino al terzo anno dall’ingresso in famiglia del figlio adottato.

Tale beneficio è stato prorogato ed adottato anche per gli anni successivi, mentre è stato modificato con l’art. 1 co. 8 legge 30 dicembre 2020 n. 178 (legge di bilancio) con decorrenza 1° luglio 2021.

Ulteriore modifica è avvenuta con la legge 1° aprile 2021 che all’art. 2 ha previsto un assegno mensile per ciascun figlio minorenne a carico.

L’assegno è previsto per i figli di cittadini italiani o comunitari oppure per i figli di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (cinque anni) residenti in Italia, a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in una situazione economica corrispondente ad un valore dell’ISEE non superiore ai 25.000 euro annui. Per i nuclei familiari in possesso di un ISEE non superiore a 7.000 euro annui, l’importo annuale dell’assegno è raddoppiato.

Tutti i requisiti devono essere posseduti al momento di presentazione della domanda.

Il pagamento mensile dell’assegno è effettuato dall’Istituto direttamente al richiedente, a seguito di domanda.

Nella presente fattispecie, come eccepito dall’INPS nella memoria difensiva, è stata dichiarata la carenza della legittimazione passiva di tale Istituto, posto che la domanda per la concessione dell’assegno di maternità andava inoltrata al Comune di residenza, il quale, solo dopo aver effettuato la verifica delle condizioni richieste, la comunicava all’INPS per la mera erogazione economica.

Nel caso di specie, stante il preliminare diniego del Comune, alcuna richiesta in tal senso perveniva all’istituto, il quale rimaneva completamente estraneo alla vicenda.

Il Comune, inoltre, negava l’assegno di maternità, in quanto la ricorrente era priva del requisito di cui all’art. 9 d. Lgs. 286/98, ovvero non era in possesso della carta di soggiorno da più di cinque anni.

Infatti il permesso ex art. 9 implica una valutazione di radicamento stazionario e non occasionale nel territorio, nel caso di specie la cittadina marocchina era titolare di un permesso valido solo per alcuni mesi.

Ancora non si poteva riferire di condotta discriminatoria, visto che il Comune in tanto partecipava al sostegno di un nuovo nato sul proprio territorio, in quanto ne riconosceva la permanenza stabile e non temporanea o transitoria nella comunità locale.

Per concludere, allo stato attuale sia l’assegno di maternità che il bonus bebè è precluso ai cittadini extracomunitari titolari di un permesso di soggiorno di non lungo periodo, in attesa che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea confermi tale requisito o decida in senso opposto.