Il beneficiario perde il diritto all’assegno di mantenimento se fonda una famiglia di fatto

Nota di commento alla sentenza Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-12-2018, n. 32871

di Valeria Cianciolo

Il fatto.

La Corte d’appello, nel decidere sull’appello proposto da Tizio contro la moglie Caia, nel corso del giudizio di separazione personale dei due coniugi, revocava l’assegno di mantenimento corrisposto dal primo in favore della seconda. Risultava provata (anche per mezzo di un certificato del Comune, estratto dal registro delle coppie di fatto, tenuto da quel Comune “ad uso assegni familiari”) l’instaurazione di una famiglia di fatto da parte di Caia, ritenendosi pertanto, applicabile al caso, la giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile.

il ricorso va respinto, dovendosi applicare il seguente principio di diritto:

La Cassazione ha respinto il ricorso di Caia affermando il seguente principio: “Anche in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, indipendentemente dalla “risoluzione del rapporto coniugale” (assai più che probabile) si opera una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto espressamente cercato e voluto dal coniuge beneficiario della solidarietà (in questo caso, ancora) coniugale, con il conseguente riflesso incisivo dello stesso diritto alla contribuzione periodica, facendola venire definitivamente meno.”

La questione.

Come è noto, l’art. 5 della Legge sul divorzio stabilisce che “l’obbligo di corresponsione dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.”

La proposta di estendere la cessazione del diritto all’assegno post-matrimoniale all’instaurata convivenza more uxorio del beneficiario, a somiglianza di esperienze straniere, non è stata accolta dal legislatore. La valutazione della sua rilevanza, pertanto, è stata affidata esclusivamente all’interprete.

La giurisprudenza ormai consolidata ha chiarito che l’espressione “famiglia di fatto” non consiste soltanto nel convivere come coniugi, ma indica prima di tutto una “famiglia”, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione dei figli. In tal senso, si rinviene, seppur indirettamente, nella stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la famiglia di fatto, quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo, ai sensi dell’art. 2 Cost..

Laddove dunque, la convivenza assuma i connotati di stabilità e continuità e i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio), la mera convivenza si trasforma in una vera e propria “famiglia di fatto”. A quel punto, il parametro dell’adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner, non può che venir meno di fronte all’esistenza di una vera e propria famiglia, ancorché di fatto. Si rescinde così ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione di esso.

In un primo tempo, le pronunce di legittimità, fatte proprie anche dalla maggioranza delle sentenze di merito, affermavano, in maniera pressoché monolitica, che tale circostanza potesse incidere sul quantum della prestazione di assistenza post-coniugale, solo se ed in quanto ne derivasse il mutamento in melius delle condizioni economiche del richiedente[1].

Con un recente ribaltamento giurisprudenziale, però, la stessa sezione della Suprema Corte ha completamente rivisto tale orientamento, affermando, viceversa, che l’instaurazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge avente diritto all’assegno determina sempre, con effetto automatico, la revoca del contributo al mantenimento, rappresentando una condizione sufficiente per il diniego della relativa istanza, a prescindere da ogni ulteriore accertamento[2]

Il suddetto principio è stato enunciato in tema di assegno divorzile, cioè in una materia in cui la solidarietà post coniugale trova giustificazione nei limiti, costituzionalmente accettabili (ex art. 23 Cost.), previsti e conformati dalla legge (n. 898 del 1970, succ.mod., art. 5, comma 6) in considerazione dello stato libero delle persone (ex coniugi). Principio che adesso viene adesso esteso anche alla separazione.

Diversamente dallo scioglimento e dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, la separazione presuppone la permanenza del vincolo coniugale e l’attualità del dovere di assistenza materiale, realizzandosi solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione; diversamente dalla solidarietà post-coniugale, che è presupposto dell’assegno di divorzio, la separazione instaura un regime che tende a conservare il più possibile gli effetti propri di un matrimonio che è ancora in vita, compatibili con la cessazione della convivenza, e per questo può dirsi che l’assegno di mantenimento sia astrattamente dovuto come continuazione dell’obbligo di assistenza materiale tra i coniugi, a norma dell’art. 143 c.c. (Cass. n. 12196/2017, n. 11504/2017).

La questione che viene in rilievo è dunque, se e in che termini la convivenza intrattenuta dal coniuge separato incida sull’attribuzione e sulla quantificazione dell’assegno di mantenimento a suo favore: il coniuge che intraprende una nuova convivenza trae dei benefici economici, se non altro in quanto può condividere le spese di ordinaria amministrazione (vitto, alloggio e relativi oneri), al contrario del coniuge rimasto solo, il quale deve affrontare, oltre alle spese di ordinaria amministrazione, anche quelle relative al mantenimento dell’ex coniuge e degli eventuali figli.

L’assegno deve essere idoneo ad assicurare al coniuge separato tendenzialmente un tenore di vita analogo a quello che egli aveva prima della separazione (Cass. n. 12196/2017) e tuttavia esso è dovuto “sempre che (il coniuge richiedente) non fruisca di redditi propri tali da fargli mantenere una simile condizione” (Cass. n. 14840/2006), dovendo l’assegno essere pur sempre “necessario al suo mantenimento”, ai sensi dell’art. 156 c.c.. Ciò induce a ritenere che il diritto all’assegno di mantenimento possa essere negato o eliminato se il coniuge debitore (convenuto nel giudizio per l’attribuzione dell’assegno o attore in quello per l’eliminazione o la revisione dello stesso) dimostri che l’altro coniuge abbia instaurato una convivenza more uxorio con altra persona che assuma i caratteri della stabilità, continuatività ed effettiva progettualità di vita, presumendosi in tal caso che le disponibilità economiche di ciascun convivente siano messe in comune nell’interesse del nuovo nucleo familiare.

Negli ultimi anni, gli Ermellini hanno sostanzialmente affermato che nella separazione, il diritto all’assegno di mantenimento può essere negato o eliminato solo se il coniuge debitore dimostri il fatto impeditivo e estintivo di tale diritto, rappresentato dalla circostanza che l’altro abbia intrapreso una relazione extraconiugale caratterizzata da stabilità, continuatività ed effettiva progettualità di vita. Da ciò consegue la presunzione che le risorse economiche dei conviventi siano poste in comune nell’interesse del nuovo nucleo familiare e che, dunque, la corresponsione dell’assegno di mantenimento non trovi (o non trovi più) giustificazione[3].  Tale presunzione può essere vinta dal coniuge richiedente, il quale può allegare e dimostrare (anche mediante presunzioni) come la nuova convivenza non influisca in melius sulla propria personale condizione economica, restando i suoi redditi complessivamente inadeguati a conservare il tenore di vita pregresso.

Cosa non convince della decisione in esame? Il fatto che gli Ermellini abbiano ritenuto che la relazione instaurata dalla moglie insieme al nuovo partner avesse acquisito un grado di stabilità tale da potersi considerare idonea «a rescindere ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, di conseguenza, il presupposto per la riconoscibilità, a carico dell’altro coniuge, di un assegno di mantenimento». Tuttavia, la solidità della convivenza tra i due soggetti è stata valutata solamente sulla base delle annotazioni negli atti di stato civile.

Si accoglie così l’orientamento secondo cui la convivenza more uxorio è da considerarsi di per sé determinante per la cessazione del diritto al mantenimento dell’ex coniuge, offrendo una soluzione maggiormente conforme alle esigenze di rispetto di giustizia ed equità sociale: anche in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, opera una rottura tra il preesistente “tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale” ed il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto espressamente cercato e voluto dal coniuge beneficiario.  Il fondamento della cessazione dell’obbligo di contribuzione gli Ermellini lo individuano , per quel che riguarda il divorzio ma anche la separazione personale, nel principio di autoresponsabilità: “Il fondamento della cessazione dell’obbligo di contribuzione deve esser individuato, per quel che riguarda il divorzio ma anche la separazione personale, nel principio di autoresponsabilità, ossia nel compimento di una scelta consapevole e chiara, orgogliosamente manifestata con il compimento di fatti inequivoci, per aver dato luogo ad una unione personale stabile e continuativa, che si è sovrapposta con effetti di ordine diverso, al matrimonio, sciolto o meno che sia.”

La giurisprudenza, anticipando il dies a quo per la decorrenza degli effetti ablativi dell’assegno dal passaggio a nozze all’instaurazione di una famiglia di fatto, ha attuato una sorta di interpretatio abrogans della norma di cui all’art. 5, comma 10, L. 1° dicembre 1970, n. 898.  la definitività delle conseguenze riconnesse alla convivenza more uxorio, ai fini non solo dell’esonero dall’assegno divorzile, ma anche dell’assegno di mantenimento in sede di separazione, in certa misura collide con la natura rebus sic stantibus delle decisioni rese in quella sede, sempre rivedibili in caso di nuove circostanze sopravvenute


[1]    Cass. 25 novembre 2010, n. 23968, in Giust. civ., 2011, I, 2343; Cass. 22 gennaio 2010, n. 1096, in Fam. pers. succ., 2010, 754, con nota di Achille, Revisione dell’assegno di divorzio: giustificati motivi sopravvenuti e convivenza more uxorio; Cass. 8 ottobre 2008, n. 24858, in Fam. e dir., 2009; Cass. 2 giugno 2000, n. 7328, in Guida dir., 2000, 29, 42, con nota di Finocchiaro, L’assenza di una previsione legislativa specifica non ostacola i poteri di indagine del giudice; Cass. 20 settembre 1999, n. 10149, in Foro it., 2000, I, 1229, con nota di De Marzo, 335, con nota di Russo, Convivenza more uxorio e presupposti per la diminuzione dell’assegno di divorzio.

[2]    Cass. 11 agosto 2011, n. 17195, in Fam. minori, 2011, 10, 20, con nota di Fiorini, Solo la rottura dell’unione può far ripristinare il diritto al mantenimento, in Guida dir., 2011, 44, 62, con nota di Vaccaro, op. cit., in Fam. dir., 2012, 25, con nota di Figone, La convivenza more uxorio può escludere l’assegno divorzile, e in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 45, con nota di Oliviero, Nuovi amori e vecchi assegni di divorzio

[3]    Tale principio ha avuto un’interessante applicazione nella giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 6 giugno 2017, n. 11463), ove si è ritenuto che la stabile convivenza more uxorio consenta presumibilmente, sul piano delle economie di scala che una convivenza implica, un miglioramento dello standard di vita. Sposando questa linea, sostanzialmente si afferma che la nuova famiglia di fatto recide ogni legame con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale.