(di Mario Scola, Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))
La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dal lavoratore, con la qualifica di funzionario tecnico laureato, categoria D, nei confronti dell’Amministrazione pubblica, il quale chiedeva l’accertamento del mobbing e della dequalificazione professionale subita, il risarcimento del danno da perdita di professionalità e da perdita di chances, del danno non patrimoniale, del danno all’immagine professionale e del danno biologico. Avverso tale decisione il lavoratore ha presentato ricorso per cassazione, la quale con sentenza n. 976 del 16 gennaio 2019 ha rigettato il ricorso, affermando il principio secondo cui la responsabilità del datore di lavoro anche nel pubblico, per condotte consistenti in atti di mobbing, sussiste quando dette condotte sono assistite da precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell’enucleazione del mobbing.