di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)
Il dipendente della società proponeva reclamo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Treviso, con cui venne respinta la sua domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla società per avere, nel corso di quattro giornate di assenza per permessi sindacali (18, 19, 20 e 21 marzo 2014), svolto attività ricreative ed avulse dalle finalità sindacali dei permessi accordati, ed in particolare la partecipazione alle riunioni degli organismi sindacali per i quali i permessi erano stati richiesti.
La Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e, in base al comma 4 dell’art. 18 L. n. 300/1970 novellato, condannava la società alla reintegra del dipendente nel suo posto di lavoro, rinviando con separata ordinanza la causa ai fini della quantificazione del risarcimento del danno.
La società propone ricorso per cassazione, la Cass. civ., sez. lav., con sentenza n. 4943 del 20 febbraio 2019 accoglie il ricorso della società, stabilendo che i permessi sindacali retribuiti previsti dall’art. 30 St.Lav. per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti interni, collegati genericamente all’esigenza di espletamento del loro mandato, e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire dell’aspettativa sindacale; ne consegue che l’utilizzo per finalità diverse dei permessi (nella specie, preparazione delle riunioni e attuazione delle decisioni) giustifica il licenziamento disciplinare. Inoltre, la Corte – prosegue – specifica che l’indebita utilizzazione dei permessi non si traduce in un inadempimento ma rivela l’inesistenza di uno degli elementi costitutivi del diritto; ne consegue che, in caso di contestazione, qualora il lavoratore, su cui grava il relativo onere, non fornisca la prova dell’esistenza del diritto, trovano applicazione le regole ordinarie del rapporto di lavoro e l’assenza del dipendente è ritenuta mancanza della prestazione per causa a lui imputabile.
SENTENZA PER ESTESO
Svolgimento del processo
F.Z., dipendente della s.r.l. S.O., proponeva reclamo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Treviso il 29.11.16, con cui venne respinta la sua domanda diretta all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli dalla società l’8.4.14 per avere, nel corso di quattro giornate di assenza per permessi sindacali (18, 19, 20 e 21 marzo 2014), svolto attività ricreative ed avulse dalle finalità sindacali dei permessi accordati, ed in particolare la partecipazione alle riunioni degli organismi sindacali per i quali i permessi erano stati richiesti (pag.7 ricorso S.O.).
Nella resistenza della società, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza non definitiva depositata il 5.7.17, in riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’illegittimità del licenziamento e, in base al comma 4 dell’art. 18 L. n. 300\70 novellato, condannava la società alla reintegra dello Z. nel suo posto di lavoro, rinviando con separata ordinanza la causa ai fini della quantificazione del risarcimento del danno.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a quattro motivi.
Resiste lo Z. con controricorso.
Con sentenza definitiva depositata il 29.9.17, la medesima Corte d’appello quantificava in dodici mensilità l’indennità dovuta allo Z. ex art. 18 L. n. 300\70, detratto l’aliunde perceptum pari ad €.8.615, oltre accessori dalla data del licenziamento, condannando la società al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali maturati.
Per la cassazione di tale ultima sentenza propone successivo ricorso la società, affidato ad unico motivo.
Resiste lo Z. con controricorso.
Motivi della decisione
I ricorsi proposti debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 151 disp.att. c.p.c., stante la loro evidente connessione.
Venendo all’esame del primo ricorso si osserva:
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione dell’art. 18 L. n. 300\70, in relazione agli artt. 23, 24 e 30 stessa legge, ed agli artt. 2119, 1175, 1375, 2104 e 2106 c.c.
Lamenta che secondo l’impugnata sentenza la qualificazione dei permessi richiesto per lo Z. dalla UILM sarebbe irrilevante: “sia che si trattasse di assenza per permesso ex art. 23 … sia che si trattasse di permesso ex art. 30; la contestazione in ogni caso riguardava non l’assenza ingiustificata dal lavoro, quanto l’utilizzo del permesso per finalità diverse da quelle previste e richieste, con la conseguenza che nel caso di permessi ex art. 23 il datore di lavoro non poteva neppure svolgere alcun controllo, mentre il mancato svolgimento dell’attività sindacale di cui al permesso ex art. 30, se dimostrato, avrebbe al più consentito al datore di lavoro di chiedere la restituzione delle somme retribuite corrisposte nei giorni in contestazione, senza conseguenze sul piano del rapporto di lavoro”.
La sentenza impugnata perveniva quindi alla conclusone che l’indebita utilizzazione di permessi richiesti ex art. 30 St. lav. comporterebbe soltanto la perdita del diritto alla relativa retribuzione e non un’assenza ingiustificata disciplinarmente sanzionabile.
2. – Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per mancanza assoluta della motivazione su questione decisiva e cioè la partecipazione dello Z. alle riunioni sindacali indicate nei moduli di richiesta dei permessi e comunque lo svolgimento di attività sindacale.
3. – Il primo motivo del primo ricorso risulta avere carattere assorbente ed è, ad avviso della Corte, fondato.
Osserva infatti il Collegio che la sentenza impugnata ha erroneamente equiparato, per i fini che qui interessano, i permessi richiesti ex art. 23 L. n. 300\70 a quelli richiesti ex art. 30.
A tal riguardo deve rammentarsi che mentre l’art. 23 stabilisce che “i dirigenti delle r.s.a. (ora r.s.u.) di cui all’art. 19 hanno diritto, per l’espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti”, l’art. 30 stabilisce che “I componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni (sindacali) di cui all’art. 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti”.
E’ evidente che mentre le attività in genere necessarie per l’espletamento del mandato sindacale non sono controllabili (Cass. n. 5223\01, n. 14128\99, n. 11573\97), ma comunque censurabili specie laddove si accerti che il permesso (anche ex art. 23 L. n. 300\70) venga utilizzato per fini personali (Cass. n. 454\03), la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi può essere naturalmente controllabile ed in caso di accertata mancata partecipazione certamente sanzionabile.
Come osservato da questa Corte (Cass. n. 4302\01, n. 5086\01, n. 5223\01), i permessi sindacali retribuiti previsti dall’art. 30 St.Lav. per i dirigenti provinciali e nazionali delle organizzazioni sindacali possono essere utilizzati soltanto per la partecipazione a riunioni degli organi direttivi, come risulta dal raffronto con la disciplina dei permessi per i dirigenti interni, collegati genericamente all’esigenza di espletamento del loro mandato, e come è confermato dalla possibilità per i dirigenti esterni di fruire dell’aspettativa sindacale; ne consegue che l’utilizzo per finalità diverse dei permessi (nella specie, preparazione delle riunioni e attuazione delle decisioni) giustifica la cessazione dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro, che è abilitato ad accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti del diritto. Inoltre, prosegue la giurisprudenza citata, l’indebita utilizzazione dei permessi non si traduce in un inadempimento ma rivela l’inesistenza di uno degli elementi costitutivi del diritto; ne consegue che, in caso di contestazione, qualora il lavoratore, su cui grava il relativo onere, non fornisca la prova dell’esistenza del diritto, trovano applicazione le regole ordinarie del rapporto di lavoro e l’assenza del dipendente è ritenuta mancanza della prestazione per causa a lui imputabile.
Nella specie risulta dagli accertamenti svolti dalla datrice di lavoro – contestati allo Z. e da questi solo genericamente confutati, ovvero contrastati solo sotto il profilo della natura dei permessi (in tesi concessi ex art. 23 e non 30 L. n. 300\70) – che egli durante i permessi retribuiti si dedicò ad attività ricreative o personali del tutto avulse dai permessi ottenuti e comunque non partecipò alle riunioni degli organi direttivi dell’organizzazione sindacale per cui ottenne taluni dei permessi in questione.
La sentenza impugnata ha quindi erroneamente ritenuto che ‘l’eventuale condotta abusiva non avrebbe alcuna conseguenza risolutiva del rapporto, giustificando al più l’adozione del provvedimento di ritenzione della retribuzione (pag. 15 sentenza impugnata).
Già sotto tale profilo la pronuncia merita di essere cassata in base alle considerazioni sopra svolte.
Essa tuttavia contiene una seconda affermazione, e cioè (cfr. pag. 15) che durante le assenze per i permessi sindacali accordatigli, lo Z., come riferito dalla teste B. nella prima fase sommaria dinanzi al Tribunale, aveva svolto le attività richieste dall’associazione sindacale di appartenenza, consistenti nello studio di normativa fiscale, assistenza per pratiche contributive, preparazione di discorso in vista delle successive elezioni sindacali.
La sentenza ha inoltre ritenuto che i permessi sindacali de quibus vennero concessi ex art. 23 L. n. 300\70 (e non ex art. 30), ciò desumendo dalla circostanza che nella contestazione disciplinare riportata nel presente ricorso non era addebitato in alcun modo allo Z. la mancata partecipazione a riunioni del comitato direttivo (rilevanti ex art. 30).
Anche sotto questo profilo la sentenza impugnata risulta erronea.
Ed invero tale ultima affermazione non configura un accertamento (insindacabile) da parte del giudice di merito ma una supposizione, o presunzione, non suffragata da elementi gravi, precisi e concordanti, stante il contrasto col fatto che lo stesso Z., com’è pacifico, nella prima fase del primo grado parlò di permessi ex art. 30 e solo in sede di opposizione dedusse trattarsi di permessi ex art. 23; che il Tribunale, nella sentenza di opposizione, accertò trattarsi di permessi ex art. 30. Resta in ogni caso la decisiva circostanza che la contestazione S.O. reca, tra l’altro, che “il giorno 21 marzo 2014, sebbene assente per permesso sindacale ..quale componente del comitato direttivo della UILM…svolgeva attività assolutamente incompatibili per luogo e tempo con le finalità del permesso richiesto e concesso..”, e qui il riferimento al permesso ex art. 30 è evidente. La stessa dizione risulta poi per le contestazioni inerenti i giorni 18, 19 e 20.3.14.
Dunque, in presenza di presunzioni, gravi, precise e concordanti di segno opposto, la Corte di merito, partendo dall’erroneo presupposto che non vi era giuridica distinzione -per quanto qui interessa: sanzionabilità disciplinare- tra permessi ex art. 23 e 30, ha desunto erroneamente dalle contestazioni disciplinari de quibus che trattavasi unicamente di permessi ex art. 23 (che pure sono sanzionabili in caso di loro indebito utilizzo, Cass. n. 454\03), omettendo di considerare che i permessi retribuiti per i giorni 18, 19, 20 e 21 marzo 2014 erano stati concessi allo Z. non per il mero svolgimento di attività sindacale ex art. 23, ma quale componente degli organi direttivi dell’organizzazione sindacale per la partecipazione alle riunioni degli organi direttivi, ed è superfluo osservare che solo i permessi ex art. 30 riguardano i componenti degli organi direttivi delle oo.ss per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti.
Derivando da ciò la sanzionabilità del comportamento dello Z., la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia alla luce dei principi esposti, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
I restanti motivi, così come il secondo ricorso proposto dalla società avverso la sentenza definitiva, restano assorbiti.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi n.r.g. 20055\17 e 28117\17; accoglie il primo motivo del primo ricorso nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbiti i restanti nonché il secondo ricorso proposto avverso la sentenza definitiva.
Cassa la sentenza non definitiva impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
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