Il contratto di spedalità

di Irene Patella


(tratto dall’e-book Responsabilità civile sanitaria e medica)

Il rapporto di assistenza sanitaria che si instaura tra struttura sanitaria e paziente comprende una complessità ed un’eterogeneità di prestazioni non facilmente determinabili a priori che, pertanto, non consentono di ridurlo a mero rapporto di prestazione di opera professionale.

Proprio per la poliedrica funzione che l’assistenza sanitaria ricopre nel suo complesso, formato da innumerevoli prestazioni accessorie e doveri organizzativi della struttura, essa non può ridursi ad una prestazione di tipo medico – chirurgica in senso stretto, ma merita di essere sussunta all’interno di una fattispecie contrattuale atipica ad hoc, adatta a rappresentarne le caratteristiche. È per tale ragione che dottrina[1] e giurisprudenza[2] hanno coniato il contratto atipico di spedalità.

Con tale nomen si intende quel complesso contratto sinallagmatico a prestazioni corrispettive intercorrente tra struttura sanitaria e paziente, dal contenuto piuttosto complesso.

Esso, infatti, comprende tutta una serie di prestazioni ulteriori rispetto all’assistenza medica e/o chirurgica che si sostanziano in doveri di gestione logistica delle risorse, predisposizione di strumentazioni idonee agli scopi curativi, gestione del personale medico e paramedico, manutenzione dei macchinari e dei locali della struttura, garanzia di mantenimento delle condizioni igienico – sanitarie necessarie alla fruizione dei servizi e di utilizzo di apparecchiature moderne, di vigilanza e di controllo degli strumenti e dei prodotti farmaceutici utilizzati, di accertamento dell’impiego di sangue controllato, ecc.[3]

Tutti i suddetti doveri sono ritenuti strumentali rispetto all’obbligazione principale che è quella di cura ed il loro inadempimento configura un’ipotesi di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria ex art. 1218 c.c., poiché si porrebbe in contrasto con l’interesse del paziente creditore. In un certo senso tutti i suddetti doveri, il cui rispetto forma oggetto del cosiddetto “contratto di spedalità”, si inseriscono in un generico obbligo gravante sulla struttura che è quello di buona organizzazione.[4]

Risulta essenziale a tal fine comprendere quale generale condotta sia richiesta alla struttura sanitaria affinché si intendano rispettati i suddetti obblighi ed è per questo che giurisprudenza e dottrina hanno incentrato la loro attenzione sul concetto di diligenza che, in questo caso, non può che essere una diligenza professionale, quindi qualificata, ai sensi del secondo comma dell’art. 1176 c.c.[5]

La struttura è diligente qualora faccia quanto è possibile per garantire l’adempimento dei suddetti doveri e il soddisfacimento integrale del paziente, secondo un giudizio da operarsi in concreto ed in modo oggettivo. Tale dovere si può sostanziare anche in atti omissivi o di opposizione a ciò che in concreto possa pregiudicare le legittime aspettative del paziente preso in cura.

Il giudizio di diligenza, infatti, non deve comportare valutazioni soggettive sullo sforzo individuale compiuto da un soggetto (in questo caso dal soggetto giuridico ente sanitario) ma deve consistere in una valutazione oggettiva della condotta da cui emerga che la disfunzione rilevata non potesse in alcun modo evitarsi, nemmeno utilizzando particolari metodi tecnico – organizzativi. Qualora questo giudizio ex post dovesse dare risultati negativi allora si dovrebbe configurare una responsabilità civile in capo all’ente.[6]

Tutto ciò naturalmente comporta delle pesanti conseguenze sul piano probatorio, poiché la struttura (sulla cui responsabilità contrattuale non sussistono dubbi) dovrà provare non già di avere adottato un comportamento diligente, ma di aver adottato tutti gli accorgimenti tecnici ed organizzativi necessari e possibili sulla base delle circostanze del caso concreto, dimostrando così un inadempimento inevitabile dovuto a cause ad essa non imputabili e da essa non controllabili, quindi eccezionali ed imprevedibili. In pratica, la struttura dovrebbe dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.[7]

Inoltre, la struttura sanitaria non è responsabile contrattualmente unicamente per i fatti addebitabili a proprio inadempimento, ma anche per quelli compiuti dai medici che vi operano ex art. 1228 c.c., siano o meno dipendenti della struttura, come viene unanimemente rilevato dalla giurisprudenza. Il Tribunale di Arezzo, ad esempio, ha recentemente ribadito che “In tema di contratto di c.d. spedalità, l’accettazione del paziente in una struttura deputata a fornire assistenza sanitario-ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità, in base alla quale la stessa è tenuta ad una prestazione complessa, che non si esaurisce nella effettuazione delle cure mediche e di quelle chirurgiche già prescritte dall’art. 2 l. 132/68. In presenza di contratto di spedalità la responsabilità della struttura ha natura contrattuale, sia in relazione a propri fatti d’inadempimento sia per quanto concerne il comportamento dei medici dipendenti, a norma dell’art. 1228 c.c., secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi. A questi fini è sufficiente che la struttura sanitaria comunque si avvalga dell’opera di un medico. Ove anche non sia stato stipulato un contratto formale apposito – come è nella specie – le relative obbligazioni si fondano comunque sul “contatto sociale”, connotato dallo speciale affidamento, che il malato ripone, in chi esercita una professione protetta avente ad oggetto beni costituzionalmente tutelati e di importanza apicale, quale la salute. Dunque, le obbligazioni hanno natura contrattuale in riferimento al contenuto e, in taluni casi, anche alla fonte del rapporto giuridico.”[8]

Un problema applicativo connesso al contratto di spedalità, inoltre, consisterebbe nella disciplina ad esso applicabile, poiché, trattandosi di un contratto atipico, non può esservi applicata interamente e pedissequamente la disciplina giuridica di un contratto tipizzato, proprio perché il legislatore non lo ha predisposto (altrimenti si tratterebbe di contratto tipico).

Per tale ragione, è l’interprete a dover definire la disciplina applicabile tra le ipotesi tipiche ed a colmare i vuoti per quegli aspetti a cui le discipline tipizzate non dovessero risultare confacenti, con l’aiuto naturalmente della giurisprudenza. In essa, però, è ancora forte il richiamo alla disciplina tipica del contratto d’opera professionale, per quanto non contrastante, in un certo senso rinnegando tutte le elucubrazioni argomentative su cui si è fondata la distinzione e la contrapposizione tra i due contratti.


[1] Cfr. P. Stanzone, V. Zambrano, Attività sanitaria e responsabilità civile, Giuffrè, 1998, p. 505 ss.; G. Toscano, Il difetto di organizzazione: una nuova ipotesi di responsabilità? in Responsabilità civile e previdenza, 1996, p.395 ss.

[2] Cfr. ex multis, Corte d’Appello di Roma, 3 marzo 1998 e Cassazione civile, 1/07/2002, n. 9556.

[3]È sulla base di tali doveri che sono stati articolati i requisiti minimi che una struttura sanitaria deve possedere.

[4] Su di esso, si veda N. Mazzia, Furto di neonato e responsabilità civile dell’ospedale, in Foro italiano, 1988, I, p. 1629.

[5] Esso infatti disponendo che “Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata” richiede una diligenza qualificata in relazione all’attività svolta che sia maggiore di quella media richiesta al buon padre di famiglia. In seno a tale disposto vi è un richiamo chiaro all’art. 2236 c.c. su prestatore d’opera.

[6] Sui criteri oggettivi di valutazione della diligenza, cfr. P. Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, XII ed. Giuffrè, 1998, p. 339 ss.

[7]Di contro, alcuni autori hanno ritenuto che la particolare natura impersonale del debitore – struttura rendesse impossibile una tale gravosa prova; cfr.  A. Gabrielli, La r.c. del professionista: generalità, in P. Cendon (a cura di), La responsabilità civile, Giappichelli, 1998, p. 305.

[8]Tribunale di Arezzo, sentenza del 23/07/2018, n.776. In ogni caso, il Tribunale di Mantova, con sentenza del 01/03/2018, n.163, precisa che “La struttura sanitaria, pubblica o privata, risponde della condotta dolosa o colposa del medico di cui si avvalga, quando non siano stati dedotti profili ulteriori di colpa propria ed esclusiva (quali ad esempio la carenza della struttura sotto il profilo tecnico-organizzativo) …”.