PAS (Parental Alienation Syndrome). Il caso di un padre fortemente ostacolante agli incontri fra la figlia adolescente e la madre Nota a Tribunale per i Minori di Brescia, decreto 26 luglio 2018

(di Valeria Cianciolo – Ondif Sez. Bologna)

Ben articolato il decreto del Tribunale per i Minorenni di Brescia

Il Tribunale per i Minorenni di Brescia riscontrato il progressivo deterioramento del rapporto genitoriale materno con la figlia adolescente, ha attribuito ogni responsabilità al padre mettendo in rilievo la criticità dell’idoneità genitoriale di quest’ultimo, e decidendo per l’affido a terzi della minore.

Il caso.

La figlia di una coppia divorziata era stata affidata ad entrambi genitori con collocamento prevalente presso la madre. La stessa si era recata presso l’abitazione paterna per trascorrere il fine settimana, ma il padre non l’aveva più riaccompagnata dalla madre e da quel momento, aveva ostacolato qualsiasi rapporto tra la figlia e l’ex moglie, negando qualsiasi tipo di contatto.

Il padre aveva allontanato la ragazzina non soltanto dalla dimora materna, ma gli aveva impedito di andare a scuola e di continuare le sue attività sportive e musicali. La madre faceva ricorso al giudice tutelare che sentiva oltre che i genitori anche la minore, la quale in quella sede dichiarava che la madre, quando aveva saputo che non aveva fatto i compiti, le aveva dato un ceffone e le aveva rotto il telefono cellulare.

Il tribunale disponeva che la minore venisse collocata presso il padre e che tornasse a frequentare la scuola nel luogo in cui viveva con il padre, anche con il dissenso della madre.

La madre chiedeva che venisse disposta C.T.U. Il tribunale disponeva che i servizi sociali organizzassero con urgenza incontri settimanali madre /figlia, inizialmente in forma vigilata.

Dalla relazione dei servizi sociali emergeva che la ragazzina si rifiutava di vedere la madre.

Il tribunale autorizzava il C.T.U. ad avvalersi di uno psichiatra per sottoporre i genitori della minore a una valutazione psicodiagnostica. Dall’elaborato peritale depositato, si segnalava la necessità del collocamento urgente della bambina in un contesto diverso da quello paterno, ravvisando nell’adolescente una forte dipendenza dalla figura paterna che non faceva nulla per favorire il riavvicinamento alla madre.

Venivano svolti con esito fallimentare, diversi colloqui di sostegno alla genitorialità.

Durante questo lungo e faticoso percorso, se da un lato continuava l’atteggiamento fortemente ostativo del padre, dall’altro la madre faceva di tutto per riconquistare l’amore della figlia. Durante uno degli incontri della madre con la figlia, la prima aveva risposto che aveva capito che lei voleva vivere con il padre, ma che al tempo stesso non voleva perderla desiderando di avere un rapporto con lei e passare del tempo durante fine settimana. La ragazza aveva risposto alla madre che non credeva nelle sue parole ed aveva comunicato agli operatori sociali una crescente fatica nel continuare ad incontrare la madre.

Alla luce di queste considerazioni, il tribunale arriva all’amara considerazione che il caso presenti una situazione di sindrome da alienazione parentale. D’altro canto, lo stesso C.T.U. aveva affermato che il padre esercitava un forte carisma sulla minore la quale sentiva di non poterlo deludere tanto da arrivare ad inibire emozioni e stati d’animo per evitare eventuale disapprovazione paterna.

Per quanto riguarda la figura paterna, la C.T.U. aveva rilevato che l’uomo presentava importanti tratti narcisistici che tu non connotando si in senso psicopatologico rappresentavano un aspetto per pervasivo della sua personalità che tale funzionamento ostacolava la sua capacità di sintonizzarsi con i bisogni più autentici della figlia. Il C.T.U. avere evidenziato che il padre della ragazza non era in grado di ottemperare neppure minima parte il criterio dell’accesso nella figlia verso l’altro genitore. La relazione peritale concludeva nel senso che la collocazione della ragazzina presso il padre rappresentava un fattore di rischio significativo per il suo benessere psicologico e aveva suggerito che la stessa fosse temporaneamente affidato ai servizi sociali è collocata provvisoriamente preso la zia materna con la quale aveva sempre avuto un buon legame al fine di riavvicinarla alla madre evitando così che venisse inserita in comunità.

Anche questo tentativo fallisce.

Il tribunale per i minorenni di Brescia, dopo svariati tentativi di conciliazione durati circa tre anno,  ha disposto che la minore venisse affidata ai servizi sociali che l’avrebbero collocata in un idoneo contesto etero familiare e che la stessa frequentasse la scuola in località prossima a quella a dove sarebbe stata collocata attivando al contempo, un percorso psicoterapico ed incontri vigilati con ciascuno dei genitori.