Mario Scola (Ingegnere e Docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania-SA)
La Corte d’Appello di Messina
confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la
domanda proposta dal lavoratore nei confronti della società , volta a
conseguire il risarcimento del anno biologico per aver prestato la propria
attività lavorativa dal 1980 al 1994 in locali insalubri, perché di ridotte
dimensioni e saturi di fumo, così contraendo un tumore faringeo, diagnosticato
dopo la cessazione del rapporto di lavoro, rimosso chirurgicamente, e dal quale
era derivata una invalidità permanente quantificata nella misura del 40%.
Avverso tale decisione interpone
ricorso per cassazione la società, la Cass.
civ., sez. VI Lavoro, ord., 9 gennaio 2019,n. 276 rigetta il ricorso,
ritenendo sussistente la eziologia professionale della affezione neoplastica
contratta dal lavoratore, sulla scorta del motivato parere espresso dal
consulente, che, dopo aver escluso l’ascrivibilità della patologia ad altri
fattori (quali alcool o familiarità con malattie professionali), aveva
affermato che il lavoratore era stato esposto in modo significativo all’inalazione
di fumo passivo – riconosciuto, secondo le acquisizioni della scienza medica,
quale causa di cancro delle vie aeree superiori – per circa quattordici anni e
per una media di almeno sei ore al giorno.
SENTENZA PER ESTESO
CORTE DI CASSAZIONE,
SEZ. VILAV., Ordinanza 09 gennaio 2019, n. 276
Rilevato che
La Corte d’Appello di Messina con
sentenza resa pubblica il 14/4/2014 confermava la pronuncia del Tribunale della
stessa sede che aveva accolto la domanda proposta da F.B. nei confronti della
società P.I., volta a conseguire il risarcimento del anno biologico per aver
prestato la propria attività lavorativa dal 1980 al 1994 in locali insalubri,
perché di ridotte dimensioni e saturi di fumo, così contraendo un tumore
faringeo, diagnosticato dopo la cessazione del rapporto di lavoro, rimosso
chirurgicamente, e dal quale era derivata una invalidità permanente
quantificata nella misura del 40%.
Avverso tale decisione interpone
ricorso per cassazione la s.p.a. P.I. affidato a tre motivi cui resiste con
controricorso l’intimato.
Entrambe le parti hanno
depositato memoria illustrativa.
Considerato che
1. Con il primo motivo la
ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, dell’art. 2087 c.c.,
violazione degli artt. 62, 156, 157 e 161 c.p.c. e nullità della sentenza per
violazione dell’art. 111 Cost.
Si duole che la Corte distrettuale, senza in alcun modo considerare il non corretto espletamento del mandato da parte del nominato ausiliare prof. P. e le osservazioni al riguardo formulate dalla società appellante, si sia limitata a confermare la sussistenza del nesso eziologico fra patologia diagnosticata ed attività lavorativa. Stigmatizza altresì là sentenza impugnata sotto il profilo della apparenza della motivazione, giacché l’acritico riferimento alle risultanze della CTU pra inidoneo a giustificare l’accertamento della ricorrenza di un nesso causale fra esposizione al fumo del lavoratore ed insorgenza della patologia neoplastica, considerato l’intervallo temporale che separava l’epoca di tale insorgenza e la cessazione del rapporto (la prima coincidente con il dicembre 2000, la seconda risalente al febbraio 1994).
Sempre con riferimento a tale
ampio spazio temporale si prospetta, con il secondo motivo, vizio di omesso
esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, argomentandosi
che, ove debitamente valutato, tale fatto avrebbe certamente escluso qualsiasi
nesso causale fra attività lavorativa e patologia diagnosticata.
2. I motivi, che possono
congiuntamente trattarsi siccome connessi, sono infondati.
Diversamente da quanto dedotto
dalla società ricorrente, il giudice del gravame ha espressamente vagliato la
questione scrutinata, pervenendo alla argomentata conclusione della sussistenza
di una eziologia professionale della affezione neoplastica contratta dal
lavoratore, sulla scorta del motivato parere espresso dal nominato ausiliare;
questi, dopo aver escluso l’ascrivibilità della patologia ad altri fattori
(quali alcool o familiarità con malattie professionali), aveva affermato che il
B. era stato esposto in modo significativo all’inalazione di fumo passivo –
riconosciuto, secondo le acquisizioni della scienza medica, quale causa di
cancro delle vie aeree superiori – per circa quattordici anni e per una media
di almeno sei ore al giorno; così indubbiamente fornendo positivo riscontro al
quesito specifico formulato al riguardo.
L’iter motivazionale che innerva
l’impugnata sentenza, appare, dunque, assolutamente articolato e coerente sulla
questione dedotta in lite, non rispondendo ai requisiti della motivazione
apparente ovvero della illogicità manifesta che avrebbero giustificato il
sindacato in questa sede di legittimità, secondo gli stringenti limiti posti
dal novellato art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.. (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 nn.
8053 e 8054 cui adde Cass. S.U. n. 19881 del 2014, Cass. S.U. n.25008 del 2014,
Cass. S.U n.417 del 2015).
Le Sezioni unite hanno infatti
affermato su tale norma che; a) la disposizione deve essere interpretata, alla
luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c., come
riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di
giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede
di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal
testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze
processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di
“sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto
l’aspetto materiale e “grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni
inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio
specifico che concerne l’omesso * esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito
diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non
integra di per sevizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
istruttorie; d) la parte ricorrente
dovrà indicare – nel rigoroso
rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e
369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui
esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui
ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro
processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la
“decisività” del fatto stesso.
La Corte di merito, per quanto
sinora detto, facendo richiamo agli esiti degli espletati accertamenti
medico-legali, ha reso una motivazione congrua e completa, che rende ragione
della eziologia professionale della patologia contratta dal lavoratore e si
sottrae, pertanto, alle censure all’esame.
3. Da ultimo, con il terzo motivo
ed in via di subordine, si prospetta violazione dell’art. 13 c.2 d.Igs. n.
38/2000 e del d.m. 12/7/2000 di approvazione delle tabelle delle menomazioni.
Si deduce l’erroneità della
valutazione dei postumi invalidanti correlata dalla Corte di merito al n. 134
della tabella allegata al d.m. 12/7/2000 (implicante un range sino a 60 punti),
in coerenza con le conclusioni rassegnate dal nominato ausiliare, giacché detto
codice si riferisce alle neoplasie maligne che non si giovano di trattamento
medico e/o chirurgico ai fini di prognosi quoad vitam superiore ai cinque anni,
quindi incurabili e non operabili; nella specie, sarebbe stato appropriato il
richiamo al codice 131 relativo a neoplasie maligne che si giovano di
trattamento medico e/o chirurgico locale, radicale, implicante menomazione fino
a 10 punti, ovvero ’ al codice 134 (con valutazione sino a 30 punti) per
neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico ai fini
di prognosi quoad vitam superiore ai cinque anni a seconda della persistenza e
dell’entità dei segni e sintomi minori della malasttia, comprensivi degli
effetti collaterali della malattia.
4. Il motivo non è fondato.
Secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio in materia di invalidità il vizio
– denunciabile in sede di legittimità – della sentenza che abbia prestato
adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in
caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica la cui
fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali
secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una
corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce
mero dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del
convincimento del giudice (vedi Cass. 3/2/2012 n. 1652, Cass. 20/2/2009 n.
4254).
Nello specifico, le censure del
ricorrente si risolvono in un mero dissenso in relazione alla diagnosi operata
dal c.t.u., cui la Corte di merito ha prestato adesione, essendo del tutto
generiche, in particolare, quelle espresse in ordine alle carenze della
valutazione medico-legale operata dall’ausiliare di secondo grado per quanto
riguarda la gravità e il carattere invalidante del quadro patologico
riscontrato a carico dell’Interessato.
5. In definitiva, al lume delle
superiori argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con
distrazione in favore dell’avv. C.M.
Trattandosi di giudizio
instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare
atto – ai sensi dell’arti co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater
all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi professionali oltre spese
generali al 15%, ed accessori di legge da distrarsi in favore dell’avv.C.M.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1
quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della, sussistenza dei presupposti per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13.