RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO ED INFORTUNIO Trib.Sassari, sez. Lav., 4 aprile 2019, n. 16

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il Trib. Sassari, sez. lav., 4 aprile 2019, n. 16 ha considerato responsabile il datore di lavoro, in qualità di legale rappresentante della società, per l’infortunio occorso alla mano sinistra della lavoratrice, con qualifica di garzone di cucina liv. 6 del C.C.N.L. per il settore alimentare, per aver prestato presso il laboratorio dell’azienda attività lavorativa. La mano della lavoratrice, mentre utilizzava un macchinario destinato al confezionamento di alimenti, più precisamente una termosaldatrice a 300, è stata pressata ad altissima temperatura all’interno del macchinario, che, privo del sistema di blocco automatico e dell’interruttore di emergenza nonché di altri sistemi di sicurezza, era stato disattivato solo dopo diversi minuti dai colleghi di lavoro, che erano riusciti a liberare l’arto e avevano chiamato i soccorsi. Dopo diversi interventi anche chirurgici dei sanitari, l’amputazione di alcune dita della mano, ed alcune complicanze, dopo la terapia antibiotica e la fisioterapia che ella ha dovuto affrontare, la lavoratrice ha riportato dall’infortunio postumi permanenti fisici, e uno stato di malessere fisico e psichico, per questi motivi chiedeva anche al datore di lavoro il risarcimento del danno biologico, danno morale e danni non patrimoniali.

Il Tribunale in oggetto ha riconosciuto il pagamento da parte dell’Inail alla lavoratrice una rendita annuale ed ha rigettato la domanda del risarcimento del danno in capo al datore di lavoro, in quanto non è emersa prova del nesso causale tra la condotta, attiva od omissiva, del datore di lavoro e l’infortunio patito dalla dipendente, da cui è derivato il danno biologico e patrimoniale allegato col ricorso; neppure è emersa prova di una colpa, sia pure in vigilando, del datore di lavoro.

Fondo di sostegno per i familiari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il  Fondo  di  sostegno  per le famiglie delle vittime di gravi infortuni  sul  lavoro, introdotto dall’art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre  2006, n. 296, come modificato dall’art. 2, comma 534, della legge  24  dicembre 2007, n. 244, eroga una prestazione una tantum al nucleo  dei  familiari  superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio  sul  lavoro. 

La  prestazione  erogata  dal  Fondo non è soggetta  a  rivalsa  e  non  limita l’ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore.

L’importo della prestazione è parametrato al numero  dei  familiari  superstiti  del lavoratore, ed è annualmente determinato da un Decreto ministeriale.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha emanato, per il 2018, il D.M. 25 gennaio 2019, n. 10, il quale comunica che, ferme restando le procedure, i requisiti e le modalità di accesso ai benedici del Fondo di sostegno per i familiari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, per gli enventi verificatesi tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018, l’importo della prestazione è determinato secondo le seguenti tipologie distinte per numerosità del nucleo familiare:

Tipologia A – numero superstiti 1 – importo per nucleo superstiti 3.000 euro

Tipologia B – numero superstiti 2 – importo per nucleo superstiti 6.000 euro

Tipologia C – numero superstiti 3 – importo per nucleo superstiti 9.000 euro

Tipologia C – numero superstiti 3 – importo per nucleo superstiti 13.000 euro

PROTOCOLLO SUGLI ENTI BILATERALI IN EDILIZIA

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il 7 marzo 2019, tra ANCE, ANAEPA-CONFARTIGIANATO, CNA-COSTRUZIONI, FIAE-CASARTIGIANI, CLAAI EDILIZIA, è stato sottoscritto il Protocollo sulla Bilateralità. Il nuovo protocollo sulla Bilateralità sottoscritto tra le Associazioni datoriali dell’Industria e dell’Artigianato, anche se conferma i principi e le disposizioni contenute nel precedente Protocollo del 18 dicembre del 1998, rappresenta un’evoluzione in materia, soprattutto per il settore dell’Artigianato rafforzandone l’autonomia contrattuale.

Nello specifico, le parti:

  • concordano sulla costituzione del Fondo nazionale prepensionamenti e del Fondo territoriale incentivo per l’occupazione, che non avranno natura autonoma, secondo le modalità che saranno stabilite negli specifici Regolamenti, sempre comunque nell’ottica di rendere unitario e omogeneo l’assetto della complessiva bilateralità nel settore edile;
  • convengono sull’opportunità di utilizzo dello strumento del cosiddetto “modello F24” per effettuare i versamenti alle Casse edili anche per i Fondi sopra richiamati, in conformità con le modalità di contribuzione in essere agli Enti Bilaterali costituiti dalle Parti medesime;
  • concordano sulla necessità di utilizzare, ai fini della formazione e sicurezza, il sistema paritetico edile promanante dalle rispettive contrattazioni e di osservare Accordi e Protocolli sottoscritti dal Formedil, dalla CNCPT e dal suddetto Ente unico nazionale, nonché i relativi obblighi contributivi;
  • confermano la necessità di costituire e rendere autonomo il Fondo nazionale Ape entro il 30/9/2019 con propria governance e le Organizzazioni artigiane si impegnano a completare l’adesione al Fondo stesso da parte delle Edilcasse.
GUIDA PRATICA ALLE NUOVE PENSIONI

RESPONSABILITÀ’ DEL PARROCO IN CASO DI INFORTUNIO SUL LAVORO E CASS. PEN., SEZ. IV, 11 FEBBRAIO 2019, N. 6408

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il parroco ricorre avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Napoli, in data 2 marzo 2017, ha parzialmente riformato, confermandola nel resto, la condanna emessa a suo carico dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – articolazione territoriale di Caserta – in data 24 marzo 2015 per il delitto di lesioni personali colpose, con violazione della normativa antinfortunistica, in danno di un lavoratore. L’incidente oggetto del giudizio si verificava presso la chiesa di cui era parroco, il quale, aveva dato la sua disponibilità a eseguire gratuitamente lavori di pitturazione dell’interno della chiesa, utilizzando una scala dell’altezza di tre metri circa e un trabattello. Durante la pitturazione il lavoratore cadeva dalla scala, procurandosi le lesioni. Al parroco é contestato di avere impiegato il lavoratore in mansioni lavorative senza il rispetto delle regole cautelari e delle norme prevenzionistiche (non solo, come da originaria contestazione, l’art. 2087 cod.civ., ma anche l’art. 107 del d.lgs. 81/2008, che disciplina la sicurezza dei lavori in quota).

Il parroco ha presentato ricorso alla sentenza della Corte di appello. La Cassazione penale, con sentenza n. 6408 dell’11 febbraio 2019, ha rigettato il ricorso, affermando che “poiché il parroco ha la direzione delle attività della parrocchia, egli assume una posizione di garanzia nei confronti di chi presti, anche occasionalmente e su base volontaria, il proprio lavoro al suo interno, rispondendo pertanto delle eventuali lesioni personali cagionate dall’omessa adozione delle misure necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro”.

Tariffe Inail

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, con comunicato del 27 febbraio 2019, rende noto di aver firmato il Decreto Interministeriale che abbassa in media del 32% le tariffe INAIL.

Nello specifico, la revisione delle tariffe dei premi, in vigore dallo scorso primo gennaio come stabilito dalla Legge di Bilancio 2019, ha riguardato in particolare l’aggiornamento del nomenclatore, il ricalcolo dei tassi medi e il meccanismo di oscillazione del tasso per andamento infortunistico.

Nel nomenclatore tassi differenziati in funzione del rischio lavorativo. Nella nuova formulazione il nomenclatore tariffario, che attribuisce ai vari tipi di attività tassi differenziati in -funzione dello specifico rischio lavorativo, è stato reso più aderente agli attuali fattori di rischio.

Tra le novità l’inserimento di attività che si sono sviluppate negli ultimi anni. È stata introdotta, per esempio, una nuova voce di tariffa per le attività legate alla produzione di nanomateriali, un settore di produzione che si è sviluppato solo negli ultimi anni e per il quale si prevede una crescita anche nel prossimo futuro.

Altre novità rilevanti riguardano l’esplicitazione all’interno del nomenclatore dell’intero ciclo dei rifiuti e la previsione delle attività di consegna merci svolte in ambito urbano con l’ausilio di veicoli a due ruote o assimilabili dai cosiddetti rider.

MINIMI RETRIBUTIVI NEL SETTORE LEGNO INDUSTRIA DAL 1° GENNAIO 2019

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

L’11 febbraio 2019 è stato sottoscritto, tra FederlegnoArredo e Feneal-Uil, Filca- Cisl, Fillea-Cgil, il verbale di accordo per la definizione dell’incremento dei minimi retributivi a valere dal 1° gennaio 2019.

Gli incrementi relativi ai mesi di gennaio e febbraio verranno erogati con la retribuzione di marzo 2018.

Categorie Minimi al 31-12-2018 3 scatti Montante Rivalutazione Retribuzione al 1°-1-2019
AD3 2.448,97     42,87 2.491,84
AD2 2.404,82     41,85 2.446,67
AD1 2.311,55     39,81 2.351,36
AC5 2.219,22     37,77 2.256,99
AC4 2.080,81     34,70 2.115,51
AC3/AC2/ 1.942,25     31,64 1.973,89
AS3 1.873,51     30,11 1.903,62
AC1/AS2 1.802,49     28,58 1.831,07
AE4/AS1 1.747,36     27,35 1.774,71
AE3 1.678,24     25,82 1.704,06
AE2 1.608,62     24,29 1.632,91
AE1 1.434,27 23,85 1.458,12 20,41 1.454,68

Accelerazione delle procedure negli appalti pubblici sotto la soglia comunitaria e legge semplificazioni

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 36 del 12 febbraio 2019 è stata pubblicata la legge n. 12 dell’11 febbraio 2019, di conversione del d.l. n. 135 del 14 dicembre 2018, c.d. Decreto Semplificazioni, il quale contiene le disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 5 della l. 12/2019, recante norme in materia di semplificazione e accelerazione delle procedure negli appalti pubblici sotto soglia comunitaria, interviene sull’art. 80 del codice dei contratti pubblici in materia di motivi di esclusione. Il comma 1, dell’art. 5 in esame modifica il comma 5 dell’art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 (Codice dei contratti pubblici), sostituendo la lettera c) con tre nuove lettere. Tale modifica ha lo scopo di “allineare il testo dell’articolo 80, comma 5, lettera c) del codice alla direttiva 2014/24/UE, articolo 57, par. 4, che considera in maniera autonoma le quattro fattispecie di esclusione indicate erroneamente, a titolo esemplificativo nell’attuale lettera c)…”.

Nel dettaglio, la lettera c) come riformulata prevede che possa essere escluso dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico qualora la stazione appaltante dimostri, con mezzi adeguati, che esso si sia reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità.

Ai sensi delle nuove lettere c-bis) e c-ter) le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore ARTICOLO 5 58 economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore, qualora l’operatore economico abbia: § tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione, ovvero abbia omesso le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione (lettera c-bis); § dimostrato significative o persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili. Su tali circostanze la stazione appaltante deve motivare anche con riferimento al tempo trascorso dalla violazione e alla gravità della stessa (lettera c-ter).

D.M. 28 gennaio 2019: accesso ai contributi per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte delle pmi

(di Mario Scola Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 32 del 7 febbraio 2019, il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, 28 gennaio 2019, che ha previsto la riapertura dello sportello per la presentazione delle domande di accesso ai contributi in relazione a finanziamenti bancari per l’acquisto di nuovi macchinari, impianti e attrezzature da parte di piccole e medie imprese. Infatti, a partire dal 7 febbraio 2019 è disposta la riapertura dello sportello per la presentazione da parte delle imprese delle domande di accesso ai contributi suindicati, alle banche o agli intermediari finanziari.  Le domande possono essere oggetto di richieste di prenotazione presentate dalle banche o   dagli   intermediari finanziari a partire dal mese di marzo 2019.

Infine, va precisato che le domande di agevolazione delle imprese presentate alle banche o agli intermediari finanziari a partire dal 4 dicembre 2018, data di chiusura dello sportello disposta dal decreto direttoriale 3 dicembre 2018, e sino al 6 febbraio 2019, giorno antecedente la data di riapertura dello sportello sono considerate irricevibili.

Infortunio in itinere: Cass. Civ., sez. Lav., 5 febbraio 2019, n. 3376

(di Mario Scola Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

La Corte d’Appello di Bari riformava la sentenza del Tribunale, che aveva accolto la domanda proposta dal lavoratore, nei confronti del datore di lavoro per il pagamento delle prestazioni derivanti dall’infortunio in itinere subito in data 1° giugno 2005 mentre raggiungeva con la propria autovettura, partendo dalla abitazione; per l’effetto rigettava la domanda. A fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che ai sensi dell’art. 12 d.lgs. 38/2000 era indennizzabile l’infortunio occorso durante il «normale» percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate. Avverso tale decisione il lavoratore ha presentato ricorso per cassazione, la quale con ordinanza n. 3376 del 5 febbraio 2019 ha rigettato il ricorso, in base al principio che per “normale percorso” si intendeva quello più breve e diretto nonché delimitato entro un ragionevole arco temporale; invece, la scelta del percorso del lavoratore non era più breve e diretto.

SENTENZA PER ESTESO

Rilevato

che con sentenza in data 3-18 ottobre 2016 numero 2319 la Corte d’Appello di Bari riformava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la domanda proposta da A.B., dipendente dell’INAIL, nei confronti del datore di lavoro per il pagamento delle prestazioni derivanti dall’infortunio in itinere subito in data 1 giugno 2005 mentre raggiungeva con la propria autovettura, partendo dalla abitazione in C. Canavese (TO), il luogo di lavoro in Cirié (TO); per l’effetto rigettava la domanda;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che ai sensi dell’articolo 12 decreto legislativo numero 38/2000 era indennizzabile l’infortunio occorso durante il «normale» percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate.

Per normale percorso si intendeva quello più breve e diretto nonché delimitato entro un ragionevole arco temporale.

Dalla consulenza d’ufficio espletata nel grado di appello risultava che il percorso seguito dal B. non trovava ragionevole spiegazione sotto due distinti aspetti.

In primo luogo, esso non era il più breve; dalla comparazione tra il tragitto seguito e quello indicato dall’INAIL risultava che quest’ultimo avrebbe comportato un risparmio in termini di tempo pari a 12 minuti e di distanza tra l’abitazione e la sede lavorativa di 11 chilometri.

Il rischio di tornanti – (che interessava un tratto di due soli chilometri del percorso più breve ed, alla stregua della documentazione fotografica, non risultava particolarmente allarmante) – non era tale da giustificare il diverso tragitto percorso, in assenza di indicazioni più specifiche (ad esempio, circa il tasso di incidenti in quel tratto o la natura della strada).

In secondo luogo era emerso che il B. in occasione del sinistro pur trovandosi sulla strada statale 460 in direzione di Ciriè aveva effettuato irragionevolmente una deviazione all’altezza dello svincolo per L., immettendosi sulla strada provinciale 267 in direzione di tale Comune. Ivi giunto, aveva poi proseguito lungo il Viale E., fino a raggiungere la rotonda dove era avvenuto l’incidente.

La deviazione non era dipesa da una causa di forza maggiore, da esigenze improrogabili o dall’attuazione dì una direttiva del datore di lavoro.

Vi era, dunque, un’ipotesi di rischio elettivo, causato dal lavoratore per scelte personali tali da interrompere il nesso di causalità tra il lavoro e l’evento subito.

che avverso la sentenza ha proposto ricorso A.B., articolato in un unico motivo, cui ha opposto difese l’INAIL con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’articolo 380 bis codice di procedura civile.

Considerato

che con l’unico motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’articolo 360 numero 5 codice di procedura civile – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo. Ha assunto che il ragionamento della Corte territoriale – secondo cui il percorso più breve e diretto era quello indicato dall’INAIL – era fuorviante ed illogico. La scelta del percorso non era stata arbitraria ed ingiustificata: egli aveva preferito una strada più agevole e priva di tornanti, il che comportava un aggravio di tempo di poco più di dieci minuti. Alla luce della minima differenza con i percorsi alternativi non si poteva ritenere un aumento del rischio né una deviazione arbitraria ed animata da finalità personali; più semplicemente, il percorso era stato scelto perché ritenuto più congeniale per distanza, tempo e traffico del momento;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso;

che, invero, l’accertamento del giudice del merito della esistenza di una ipotesi «di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate» – escludente la copertura assicurativa a tenore dell’articolo 12 D.Lgs 38/2000, applicabile ratione temporis – in ragione dell’apprezzamento del percorso «normale» e delle cause della deviazione da esso, costituisce accertamento di fatto censurabile in questa sede di legittimità nei limiti di deducibilità del vizio di motivazione. Parte ricorrente, pur articolando il ricorso in termini di violazione dell’articolo 360 nr. 5 cod.proc.civ., non allega alcun fatto storico, oggetto di discussione tra le parti e di rilievo decisivo, non esaminato nella sentenza impugnata ma si limita a contestare la decisione assunta contrapponendo al giudizio espresso dal Collegio d’appello, in ordine alla sussistenza di una ipotesi di rischio elettivo, una diversa valutazione delle ragioni della deviazione dal percorso normale e della loro apprezzabilità e rilevanza. In tal modo sollecita questo giudice di legittimità ad un non-consentito riesame del merito;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere definito con ordinanza di inammissibilità in camera di consiglio ex articolo 375 cod.proc.civ.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell’art. 1 co. 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

Dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Lavoratori domestici e contributi dovuti per l’anno 2019

(di Giovanna Romano Funzionario – Provincia di Benevento)

L’Inps, con circ. n. 16 del 1° febbraio 2019, comunicano gli importi dei contributi dovuti per l’anno 2019 per i lavoratori domestici.

Restano in vigore gli esoneri previsti ai sensi dell’articolo 120 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, con decorrenza 1° febbraio 2001, nonché gli esoneri istituiti ai sensi dell’articolo 1, commi 361 e 362, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con decorrenza 1° gennaio 2006, come indicato nella circolare n. 19/2006. Si conferma, pertanto, la minore aliquota contributiva dovuta per l’Assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI) dai datori di lavoro soggetti al contributo CUAF che, ovviamente, incide sull’aliquota complessiva.

Per il rapporto di lavoro a tempo determinato continua ad applicarsi il contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, previsto dall’articolo 2, comma 28, della legge 28 giugno 2012, n. 92, pari all’1,40% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali (retribuzione convenzionale).

Tale contributo non si applica ai lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti.

Mobbing nel pubblico impiego e responsabilità del datore di lavoro: Cass. Civ., sez. Lav., 16 gennaio 2019, n. 976

(di Mario Scola, Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dal lavoratore, con la qualifica di funzionario tecnico laureato, categoria D, nei confronti dell’Amministrazione pubblica, il quale chiedeva l’accertamento del mobbing e della dequalificazione professionale subita, il risarcimento del danno da perdita di professionalità e da perdita di chances, del danno non patrimoniale, del danno all’immagine professionale e del danno biologico. Avverso tale decisione il lavoratore ha presentato ricorso per cassazione, la quale con sentenza n. 976 del 16 gennaio 2019 ha rigettato il ricorso, affermando il principio secondo cui la responsabilità del datore di lavoro anche nel pubblico, per condotte consistenti in atti di mobbing, sussiste quando dette condotte sono assistite da precipue finalità persecutorie o discriminatorie, poiché proprio l’elemento soggettivo finalistico consente di cogliere in uno o più provvedimenti e comportamenti, o anche in una sequenza frammista di provvedimenti e comportamenti, quel disegno unitario teso alla dequalificazione, svalutazione od emarginazione del lavoratore pubblico dal contesto organizzativo nel quale è inserito che è imprescindibile ai fini dell’enucleazione del mobbing.

Attività lavorativa in locali insalubri e risarcimento del danno: Cass. Civ., sez. VI, Ord., 9 gennaio 2019, n. 276

Mario Scola (Ingegnere e Docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania-SA)

La Corte d’Appello di Messina confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda proposta dal lavoratore nei confronti della società , volta a conseguire il risarcimento del anno biologico per aver prestato la propria attività lavorativa dal 1980 al 1994 in locali insalubri, perché di ridotte dimensioni e saturi di fumo, così contraendo un tumore faringeo, diagnosticato dopo la cessazione del rapporto di lavoro, rimosso chirurgicamente, e dal quale era derivata una invalidità permanente quantificata nella misura del 40%.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la società, la Cass. civ., sez. VI Lavoro, ord., 9 gennaio 2019,n. 276 rigetta il ricorso, ritenendo sussistente la eziologia professionale della affezione neoplastica contratta dal lavoratore, sulla scorta del motivato parere espresso dal consulente, che, dopo aver escluso l’ascrivibilità della patologia ad altri fattori (quali alcool o familiarità con malattie professionali), aveva affermato che il lavoratore era stato esposto in modo significativo all’inalazione di fumo passivo – riconosciuto, secondo le acquisizioni della scienza medica, quale causa di cancro delle vie aeree superiori – per circa quattordici anni e per una media di almeno sei ore al giorno.

SENTENZA PER ESTESO

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VILAV., Ordinanza 09 gennaio 2019, n. 276

Rilevato che

La Corte d’Appello di Messina con sentenza resa pubblica il 14/4/2014 confermava la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva accolto la domanda proposta da F.B. nei confronti della società P.I., volta a conseguire il risarcimento del anno biologico per aver prestato la propria attività lavorativa dal 1980 al 1994 in locali insalubri, perché di ridotte dimensioni e saturi di fumo, così contraendo un tumore faringeo, diagnosticato dopo la cessazione del rapporto di lavoro, rimosso chirurgicamente, e dal quale era derivata una invalidità permanente quantificata nella misura del 40%.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.p.a. P.I. affidato a tre motivi cui resiste con controricorso l’intimato.

Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Considerato che

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione, dell’art. 2087 c.c., violazione degli artt. 62, 156, 157 e 161 c.p.c. e nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost.

Si duole che la Corte distrettuale, senza in alcun modo considerare il non corretto espletamento del mandato da parte del nominato ausiliare prof. P. e le osservazioni al riguardo formulate dalla società appellante, si sia limitata a confermare la sussistenza del nesso eziologico fra patologia diagnosticata ed attività lavorativa. Stigmatizza altresì là sentenza impugnata sotto il profilo della apparenza della motivazione, giacché l’acritico riferimento alle risultanze della CTU pra inidoneo a giustificare l’accertamento della ricorrenza di un nesso causale fra esposizione al fumo del lavoratore ed insorgenza della patologia neoplastica, considerato l’intervallo temporale che separava l’epoca di tale insorgenza e la cessazione del rapporto (la prima coincidente con il dicembre 2000, la seconda risalente al febbraio 1994).

Sempre con riferimento a tale ampio spazio temporale si prospetta, con il secondo motivo, vizio di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, argomentandosi che, ove debitamente valutato, tale fatto avrebbe certamente escluso qualsiasi nesso causale fra attività lavorativa e patologia diagnosticata.

2. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, sono infondati.

Diversamente da quanto dedotto dalla società ricorrente, il giudice del gravame ha espressamente vagliato la questione scrutinata, pervenendo alla argomentata conclusione della sussistenza di una eziologia professionale della affezione neoplastica contratta dal lavoratore, sulla scorta del motivato parere espresso dal nominato ausiliare; questi, dopo aver escluso l’ascrivibilità della patologia ad altri fattori (quali alcool o familiarità con malattie professionali), aveva affermato che il B. era stato esposto in modo significativo all’inalazione di fumo passivo – riconosciuto, secondo le acquisizioni della scienza medica, quale causa di cancro delle vie aeree superiori – per circa quattordici anni e per una media di almeno sei ore al giorno; così indubbiamente fornendo positivo riscontro al quesito specifico formulato al riguardo.

L’iter motivazionale che innerva l’impugnata sentenza, appare, dunque, assolutamente articolato e coerente sulla questione dedotta in lite, non rispondendo ai requisiti della motivazione apparente ovvero della illogicità manifesta che avrebbero giustificato il sindacato in questa sede di legittimità, secondo gli stringenti limiti posti dal novellato art. 360 comma primo n. 5 c.p.c.. (vedi Cass. S.U. 7/4/2014 nn. 8053 e 8054 cui adde Cass. S.U. n. 19881 del 2014, Cass. S.U. n.25008 del 2014, Cass. S.U n.417 del 2015).

Le Sezioni unite hanno infatti affermato su tale norma che; a) la disposizione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c., come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e “grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; b) il nuovo testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso * esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia); c) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sevizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; d) la parte ricorrente

dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), c. p. c. e 369, secondo comma, n. 4), c. p. c. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

La Corte di merito, per quanto sinora detto, facendo richiamo agli esiti degli espletati accertamenti medico-legali, ha reso una motivazione congrua e completa, che rende ragione della eziologia professionale della patologia contratta dal lavoratore e si sottrae, pertanto, alle censure all’esame.

3. Da ultimo, con il terzo motivo ed in via di subordine, si prospetta violazione dell’art. 13 c.2 d.Igs. n. 38/2000 e del d.m. 12/7/2000 di approvazione delle tabelle delle menomazioni.

Si deduce l’erroneità della valutazione dei postumi invalidanti correlata dalla Corte di merito al n. 134 della tabella allegata al d.m. 12/7/2000 (implicante un range sino a 60 punti), in coerenza con le conclusioni rassegnate dal nominato ausiliare, giacché detto codice si riferisce alle neoplasie maligne che non si giovano di trattamento medico e/o chirurgico ai fini di prognosi quoad vitam superiore ai cinque anni, quindi incurabili e non operabili; nella specie, sarebbe stato appropriato il richiamo al codice 131 relativo a neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico locale, radicale, implicante menomazione fino a 10 punti, ovvero ’ al codice 134 (con valutazione sino a 30 punti) per neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico ai fini di prognosi quoad vitam superiore ai cinque anni a seconda della persistenza e dell’entità dei segni e sintomi minori della malasttia, comprensivi degli effetti collaterali della malattia.

4. Il motivo non è fondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio in materia di invalidità il vizio – denunciabile in sede di legittimità – della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in una inammissibile critica del convincimento del giudice (vedi Cass. 3/2/2012 n. 1652, Cass. 20/2/2009 n. 4254).

Nello specifico, le censure del ricorrente si risolvono in un mero dissenso in relazione alla diagnosi operata dal c.t.u., cui la Corte di merito ha prestato adesione, essendo del tutto generiche, in particolare, quelle espresse in ordine alle carenze della valutazione medico-legale operata dall’ausiliare di secondo grado per quanto riguarda la gravità e il carattere invalidante del quadro patologico riscontrato a carico dell’Interessato.

5. In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione in favore dell’avv. C.M.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’arti co 17 L. 228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 6.000,00 per compensi professionali oltre spese generali al 15%, ed accessori di legge da distrarsi in favore dell’avv.C.M.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della, sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.