AGEVOLAZIONI PER ASILO

di Andrea Oregioni (Avvocato iscritto presso Ordine Avvocati di Roma, esperto in materia giuslavoristica e diritto civile e responsabile per ASSOIMPRESE delle province di Como-Sondrio-Varese e Lecco)

L’Inps, con mess. n. 802 del 24 febbraio 2021, ha fornito chiarimenti sulle modalità di presentazione delle domande per il 2021 per le agevolazioni a sostegno del reddito delle famiglie previste dall’art. 1, comma 355, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il quale prevede:

  • contributo per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati;
  • contributo per l’utilizzo di forme di supporto presso la propria abitazione in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche.

La domanda di contributo per il pagamento delle rette del nido deve essere presentata dal genitore che sostiene l’onere e deve indicare le mensilità relative ai periodi di frequenza scolastica, compresi tra gennaio e dicembre 2021, per le quali si intende ottenere il beneficio. Il contributo viene erogato dietro presentazione della documentazione attestante l’avvenuto pagamento delle singole rette (sono esclusi dal contributo servizi integrativi come ad esempio ludoteche, spazi gioco, pre-scuola, etc.) e non potrà eccedere la spesa sostenuta.

Le ricevute corrispondenti ai pagamenti delle rette non presentate all’atto della domanda devono essere allegate entro la fine del mese di riferimento e, comunque, non oltre il 1° aprile 2022. In ogni caso il rimborso avverrà solo a seguito dell’allegazione della ricevuta di pagamento.

Appello Incidentale tardivo e Pensione di Reversibilità

di Corrado Spina (Avv. e prof. a contratto presso l’Università di Salerno)

Interessante sentenza della Corte di Appello di Salerno del 25 novembre 2020 n. 505 che ci offre lo spunto per analizzare due temi non comuni, l’appello incidentale tardivo ed il diritto dei figli maggiorenni a ricevere la pensione di reversibilità.

Il primo argomento riguarda l’inammissibilità dell’appello principale, al quale consegue la tardività dell’appello incidentale, anche se notificato nei termini previsti per la costituzione del resistente;

il secondo, invece si riferisce all’ipotesi in cui in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi.

Nella fattispecie di cui all’esame il figlio maggiorenne, convivente con il defunto genitore, adiva l’INPS innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore per farsi riconoscere il diritto alla pensione di reversibilità, essendo inabile al lavoro precedente alla morte del genitore.

Il Tribunale con Sentenza del 22 dicembre 2019, in accoglimento della domanda azionata dal ricorrente nei confronti dell’INPS, dichiarava “l’attore è inabile al 100% e permanentemente a proficuo lavoro sin da epoca antecedente alla morte del genitore “e condannava l’INPS alla refusione delle spese di lite.

Avverso tale provvedimento l’INPS proponeva atto di appello, con il quale deduceva che ai fini dell’invalidità di cui alla legge n. 222/1984, il ricorrente avrebbe dovuto essere inabile al 100% senza possibilità di poter lavorare, mentre nel caso di specie il CTU aveva escluso questa possibilità, per cui il diritto richiesto non poteva essere riconosciuto alla fattispecie in esame.

Instauratosi il contraddittorio, la parte appellata si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale per la declaratoria del diritto alla prestazione, previo accertamento del “diritto ad essere dichiarato inabile al 100% e nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa sin dalla morte del genitore”, senza tuttavia riproporre la domanda di indennità una tantum ex art. 1 co. 20 Legge n.335/1995, pure azionata in primo grado.

La Corte di Appello di Salerno, con Sentenza del 25 novembre 2020 n. 505, così provvedeva “Dichiara inammissibile l’appello principale ed inefficace quello incidentale”.

Appello incidentale tardivo

La funzione dell’appello incidentale è quella di integrare il contraddittorio nel giudizio d’appello; si vuole consentire all’appellante incidentale di sottoporre al giudice una tesi alternativa sullo stesso tema oggetto di controllo a seguito dell’appello principale.

A tal proposito si ricorda che l’appello incidentale, ex art. 333 c.p.c., deve essere proposto dalla parte appellata, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, tempestivamente depositata in cancelleria.

Inoltre, l’atto contenente l’appello incidentale non deve essere notificato alla controparte, tranne nel caso in cui questa sia rimasta contumace, ex art. 292 c.p.c.

Si ricorda, ancora che la notificazione della sentenza quanto quella dell’impugnazione fanno decorrere il termine breve per il notificante giacché sono entrambe volte ad accelerare il corso del giudizio.

Nella motivazione i giudici di secondo grado affermavano che l’appello incidentale tardivo proposto è processualmente dipendente da quello principale ex art.334 c.p.c., e quindi la sopravvivenza del primo è condizionato alla vitalità del secondo “simul stabunt simul cadent“.

Le impugnazioni incidentali possono essere proposte, in sede di gravame, con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, purché risulti rispettato il termine ordinario di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado, sicché, mentre l’inammissibilità dell’appello principale non priva di efficacia l’appello incidentale che sia stato proposto (oltre che tempestivamente ai sensi dell’art. 343 c.p.c. anche) nei termini per impugnare previsti dagli artt. 325, 326 e 327 c.p.c., un’impugnazione incidentale avanzata quando tali termini siano scaduti non potrebbe mai essere ritenuta “tempestiva”, anche se rispettosa del termine di cui all’art. 343 c.p.c.

Infatti, nel giudizio di appello già instaurato si riduce il tempo a disposizione per proporre un’impugnazione incidentale tempestiva. Si immagini che l’atto di appello venga proposto un mese dopo la pronuncia della sentenza, quindi con largo anticipo rispetto al decorso del termine lungo. L’appellato può a propria volta impugnare costituendosi tempestivamente, 70 giorni più tardi, tuttavia l’appello sarà considerato incidentale tardivo e soggetto alla regola contenuta nell’art. 334  c.p.c. Per evitare che ciò accada, l’appellato deve costituirsi, con appello incidentale, entro 30 giorni dalla notificazione dell’impugnazione principale, secondo i termini perentori di cui all’art. 325 c.p.c.

Nella presente fattispecie, il resistente in primo grado propone appello avverso la sentenza del Tribunale, l’appellato, ricorrente in primo grado, nel costituirsi nei termini di legge propone ricorso incidentale.

La corte di appello dichiarando l’inammissibilità dell’appello principale, seguendo il principio simul stabunt simul cadent, dichiara la tardività dell’appello incidentale, seguendo il principio di cui all’art. 334 co. 2 c.p.c. “se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale (tardiva) perde ogni efficacia”.

Ora esaminiamo cosa accade dopo una sentenza di primo grado:

  1. entrambe le parti impugnano, nei termini, il provvedimento ed il Giudice di secondo grado, riunisce i due procedimenti e, verificato il più vecchio, decide su entrambi nel merito, in quanto ogni ricorso ha una sua azione autonoma;
  2. una parte propone appello e l’altra nel costituirsi, trascorso il tempo per impugnare la sentenza, prospetta un appello incidentale, il quale segue il ricorso principale. Nel senso che quest’ultimo viene deciso alla pari dell’impugnazione principale, mentre perde ogni efficacia e viene considerato tardivo se il primo appello viene dichiarato inammissibile.

Si ricorda una recente sentenza della Cassazione “all’inammissibilità del ricorso principale consegue l’inefficacia ex art. 334 c.p.c. del ricorso incidentale, atteso che per poter essere ugualmente trattato, avrebbe dovuto essere proposto entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza” (Cass. 3 dicembre 2020 n. 27753);

Per concludere, l’appello incidentale, collegato a quello principale, anche se depositato nei termini per la costituzione dell’appellato, ma oltre il termine per l’impugnazione principale, deve essere considerato tardivo, con la conseguenza che se viene dichiarato inammissibile l’appello principale, quello incidentale perde ogni efficacia perché tardivo.

Pensione di Reversibilità

L’art. 13 del Regio Decreto 14 aprile 1939 n. 636 prevedeva “Nel caso di morte del pensionato spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato, non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi”. Mentre l’art. 39 del Decreto del Presidente della Repubblica del 26 aprile 1957 n. 818 stabiliva che “si considerano inabili le persone che, per grave infermità  fisica o mentale, si trovino nella assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro”.

Pertanto secondo la legge dell’epoca, il figlio maggiorenne per ricevere la pensione di reversibilità doveva possedere due requisiti alla morte del genitore : essere inabile al lavoro, ovvero  dimostrare di non avere la possibilità concreta, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un’attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare, in modo normale e non usurante, le sue primarie esigenze di vita, e di essere a carico dello stesso con il semplice documento di residenza.

Tale principio è stato confermato anche dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965 n. 903 che riconosceva il diritto alla pensione di riversibilità anche ai figli maggiorenni purché inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo. Successivamente vi sono state delle restrizioni, per cui l’art. 8 co. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222 ha stabilito che “si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”.

All’uopo una recente sentenza della Cassazione sostiene che in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, laddove il requisito della “vivenza a carico”,  va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile;  (Cass. 13 aprile 2018 n. 9237)

Si ricorda, inoltre, che coloro non possono ricevere la pensione di reversibilità, poiché il defunto genitore non possedeva sufficienti contributi validi ai fini pensionistici, può sempre richiedere la domanda di indennità una tantum ex art. 1 co. 20 Legge n.335/1995, nel caso di specie fu azionata in primo grado, ma non riproposta in appello.

Tale indennità prevede che qualora non sussistano i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione ai superstiti in caso di morte dell’assicurato, ai medesimi superstiti, compete una indennità una tantum, pari all’ammontare dell’assegno sociale (460 Euro) moltiplicato per il numero delle annualità di contribuzione accreditata a favore dell’assicurato.

Pertanto, nella presente fattispecie l’INPS non aveva alcun interesse ad impugnare la sentenza, poiché il primo giudice non aveva accolto la domanda, così come proposta, e l’accertamento incidentale non poteva essere accolto, in quanto l’assicurato non aveva contributi sufficienti per la pensione.

In ogni caso è stato modificato il requisito dell’inabilità al lavoro, intesa come assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, indipendentemente dalle inclinazioni e dal contesto socio-economico nel quale è inserito il figlio maggiorenne disabile.

Ci aiuta una recente sentenza della Cassazione, la quale sostiene che “L’inabilità al lavoro rappresenta un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio dal giudice” (Cass. 15 dicembre 2020 n. 28614).

Per concludere, il diritto del figlio maggiorenne inabile al lavoro a percepire la pensione di reversibilità del defunto genitore si matura solo a seguito di due condizioni: la inabilità al lavoro al 100% certificata al momento del decesso e la vivenza a carico del genitore, nel senso che quest’ultimo provvedeva, in via continuativa, al mantenimento del figlio inabile.

LICENZIAMENTO PER INIDONEITÀ FISICA CASS. CIV., N. 4896 DEL 2021

di Giuseppe Sauchella (Avv., Amministratore unico di Sannioeuropa)

La Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta dalla lavoratrice al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato dall’azienda per sopravvenuta inidoneità fisica della lavoratrice (invalidità pari all’80%) allo svolgimento delle mansioni di operaia pulitrice di III livello di cui al CCNL Multiservizi.

Nello specifico, la Corte, dato atto dell’accertata sopravvenuta inidoneità della lavoratrice alle mansioni assegnate di operaia pulitrice all’interno dell’ospedale presso cui la società aveva vinto, congiuntamente ad altra ditta, l’appalto (salvo il disimpegno, peraltro occasionale e residuale del compito di ricezione delle telefonate) nonché dell’assenza di posti vacanti su mansioni compatibili con le condizioni di salute della lavoratrice, ha ritenuto legittimo il licenziamento in considerazione dell’insussistenza di un obbligo del datore di lavoro di modificare la propria organizzazione aziendale o di demansionare o trasferire gli altri dipendenti.

La lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione, i cui giudici, con sentenza, n. 4896 del 23 febbraio 2021 hanno rigettato il ricorso della lavoratrice, ribadendo il principio già affermato da Cass. civ., Sezioni Unite n. 7755 del 1998, secondo cui: la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato, non è ravvisabile nella sola ineleggibilità dell’attività attualmente svolta dal prestatore, ma può essere esclusa dalla possibilità di altre attività riconducibile – alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede – alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché essa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore.

Il giudice di merito deve, dunque, indagare la eventuale sussistenza, nell’ambito della struttura organizzativa assunta dall’impresa, di mansioni che possano eventualmente adattarsi all’inabilità del lavoratore, e può ritenere legittimo il licenziamento non solo a fronte della concreta inesistenza di accorgimenti pratici idonei a rendere utilizzabili le prestazioni lavorative dell’inabile ma altresì accertata l’assoluta impossibilità di affidare allo stesso mansioni equivalenti e mansioni inferiori, tenuto conto – nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti – della protezione dei soggetti svantaggiati, dell’interesse del datore di lavoro ad una collocazione del lavoratore inabile nella realtà organizzativa unilateralmente delineata dall’imprenditore stesso e del diritto degli altri lavoratori allo svolgimento di mansioni che si collochino nell’ambito del bagaglio professionale acquisito. Infatti, nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato l’assenza di “posti vacanti compatibili con le minorate condizioni fisiche della lavoratrice”, dando atto che tutti gli altri dipendenti della società erano impiegati in “mansioni di fatica per le quali la lavoratrice era già stata dichiarata inidonea permanente” e che le uniche attività che la lavoratrice era in grado di svolgere (ricezione delle telefonate) erano di carattere occasionale e residuale tali da non consentire una adibizione in maniera esclusiva.

In conclusione, il datore di lavoro ha soddisfatto l’onere imposto dall’art. 5 della legge n. 604 del 1966 di provare il giustificato motivo di licenziamento dimostrando che, nell’ambito dell’organizzazione aziendale e del rispetto delle mansioni assegnate al restante personale in servizio, non vi era alcun accorgimento pratico – a prescindere dall’onere finanziario da assumere – applicabile alla mansione (già assegnata o equivalente ovvero inferiore) svolta dal lavoratore ed appropriato alla disabilità.

Linee guida per il Lavoro Agile nel settore assicurativo

di Antonio Pellicanò (dott. e Project Manager)

Lavoro agile e linee guida sul lavoro agile del 24 febbraio 2021

Il 24 febbraio 2021, tra ANIA e le associazioni sindacali FIRST-CISL, FISAC-CGIL, FNA, SNFIA E UILCA, è stato sottoscritto un accordo contenente le Linee guida per il Lavoro Agile nel settore assicurativo e di assicurazione/assistenza. Tali Linee guida si propongono altresì di favorire – compatibilmente con le esigenze produttive e organizzative del datore di lavoro – l’inclusione, attraverso facilitazioni nell’accesso e nelle modalità di svolgimento, per talune categorie come i lavoratori che hanno situazioni familiari complesse, i lavoratori con figli, i lavoratori disabili e i lavoratori aventi residenza/domicilio molto distante dalla sede di lavoro.

Il Lavoro Agile, la cui definizione e disciplina sono contenuti nella legge n. 81/2017, è una diversa modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato basata sulla gestione flessibile della prestazione sia in ordine ai tempi che ai luoghi nei quali la stessa viene eseguita, sulla volontarietà delle parti, sull’utilizzo di strumenti tecnologici, anche con forme di organizzazione del lavoro per fasi, cicli e obiettivi. In tale contesto la prestazione lavorativa in modalità agile, resa all’esterno dei locali aziendali, si svolge senza una postazione fissa di lavoro, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e/o settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Il Lavoro Agile svolto presso luoghi diversi dalla sede aziendale deve comunque rispondere a requisiti di idoneità, sicurezza e riservatezza.

A fronte della proposta aziendale, l’adesione al Lavoro Agile è su base volontaria ed è subordinata alla sottoscrizione di un accordo individuale, fermo restando il diritto di recesso ivi previsto. Gli accordi individuali dovranno essere coerenti con le presenti Linee guida e con gli accordi aziendali e dovranno rispettare le normative in materia di controllo a distanza e privacy.

Al fine di continuare a favorire l’aggregazione e lo sviluppo del senso di appartenenza aziendale, le Parti convengono che il Lavoro Agile non è la modalità di lavoro esclusiva. Il luogo di svolgimento della prestazione potrà essere la residenza, domicilio o anche altro luogo autonomamente scelto dal lavoratore, purché risponda a requisiti di idoneità, sicurezza e riservatezza.

Nelle giornate di Lavoro Agile la prestazione lavorativa potrà essere collocata in fasce lavorative stabilite dagli accordi aziendali, nel rispetto del work life balance, e sempre nel limite dell’orario di lavoro giornaliero e/o settimanale. Al di fuori dell’orario di lavoro giornaliero e nei casi di assenze c.d. legittime (es. malattia, infortuni, permessi retribuiti, ferie, ecc.), il lavoratore potrà disattivare i propri dispositivi di connessione e, in caso di ricezione di comunicazioni aziendali, non sarà comunque obbligato a prenderle in carico prima della prevista ripresa dell’attività lavorativa.

Ai lavoratori agili si applica la disciplina recata dagli artt. 18, 22 e 23 della l. 81/2017 nonché quella sulla sicurezza e salute dei luoghi di lavoro di cui al D.lgs. 81/2008. Le imprese forniranno ai Rls, nell’ambito dell’informativa annuale di cui all’art. 35 del suddetto decreto legislativo, un’informativa relativa ai rischi generici e ai rischi specifici connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile e saranno previsti momenti di monitoraggio paritetico con i Rls.

Lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile non modifica il sistema dei diritti e delle libertà sindacali individuali e collettive definiti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Dubbi interpretativi per le imprese sul lavoro agile

Rimane di fondamentale importanza per le imprese la gestione delle risorse umane durante il lavoro agile. L’autonomia nella gestione del luogo e dei tempi di lavoro, in alcuni casi, potrebbe portare a una perdita dei gradi di efficienza ed efficacia operativa.

Uno dei principali problemi all’interno delle organizzazioni è l’allineamento della comunicazione tra diverse funzioni e con esso lo scambio delle informazioni (flussi vitali per la gestione strategica ed evolutiva delle imprese), problema che tende ad amplificarsi nell’operatività in smart working.

Un’altra difficoltà si avrebbe nella dispersione temporale dell’esecuzione lavorativa, in quanto si potrebbe verificare un rallentamento nelle procedure quotidiane dato dall’assenza di coinvolgimento da parte del management e dalla perdita dei ritmi temporali dettati dai turni lavorativi presso l’azienda (l’entrata e l’uscita dal luogo del lavoro scandiscono i ritmi lavorativi nella psiche del lavoratore).

Sarà opportuno che le impresesi adoperino affinché si possa avere un’adeguata gestione delle risorse umane che operano in ambienti esterni a quelli aziendali, in modo da aumentarne il coinvolgimento e con esso la motivazione.

Il Management by Objectives diventa un modello di gestione fondamentale per le aziende che attuano il Lavoro Agile. Ragion per cui, definire gli obiettivi e i tempi entro i quali gli incarichi devono essere portati a termine, con la relativa misurazione, consentirà ai collaboratori di avere una linea temporale definita e precisa assieme aduna adeguata spinta motivazionale.

Il secondo passo da compiere èla suddivisione in team di lavoro. Ciò consentirà la condivisione di un obiettivo comune e quindi l’incremento delle relazioni all’interno delle risorse umane, indipendentemente dal luogo in cui si trovano. Ovviamente, fornire i sistemi tecnologici come una rete condivisa, un accesso da remoto, una piattaforma di riunione virtuale sarà la prerogativa primaria affinché possa svilupparsi quanto definito nell’accordo del 24 febbraio 2021.

Adottare un sistema lavorativo non in presenza incide sul grado di controllo che i manager abitualmente utilizzano, quindi il mancato controllo diretto potrebbe generare smarrimento e l’aumentando dei dubbi sull’operatività dei collaboratori. Per tale motivo, il management dovrà creare un adeguato sentimento di fiducia con il lavoratore, incentivandolo e guidandolo verso l’obiettivo stabilito.

ART. 18 DELLA L. 300/1970: INCOSTITUZIONALITA’ DEL LICENZIAMENTO ECONOMICO

di Andrea Oregioni (Avvocato iscritto presso Ordine Avvocati di Roma, esperto in materia giuslavoristica e diritto civile e responsabile per ASSOIMPRESE delle province di Como-Sondrio-Varese e Lecco)

La Corte costituzionale, riunita in camera di consiglio il 24 febbraio 2021, ha esaminato la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Ravenna sull’art. 18, commi 4 e 7, della l. 300/1970, c.d. Statuto dei lavoratori, come modificato dalla l. 92/2012, c.d. legge Fornero, là dove prevede la facoltà e non il dovere del giudice di reintegrare il lavoratore arbitrariamente licenziato in mancanza di giustificato motivo oggettivo. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che la questione è stata dichiarata fondata con riferimento all’articolo 3 della Costituzione.

La Corte ha ritenuto che sia irragionevole – in caso di insussistenza del fatto – la disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa: in quest’ultima ipotesi è previsto l’obbligo della reintegra mentre nell’altra è lasciata alla discrezionalità del giudice la scelta tra la stessa reintegra e la corresponsione di un’indennità.

Le motivazioni della sentenza saranno depositate nelle prossime settimane.

ANF PER I SOGGETTI BENEFICIARI DI CIG

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Univ. Di Teramo e Consigliera di Parità alla Provincia di Benevento)

L’Inps, con mess. n. 833 del 25 febbraio 2021, ha fornito chiarimenti sull’assegno per il nucleo familiare per i lavoratori beneficiari di prestazioni a sostegno del reddito in caso di sospensione e/o riduzione dell’attività produttiva e di indennità di mancato avvio. Nello specifico, l’Inps precisa che la procedura “ANF DIP” dovrà essere seguita anche nei casi di pagamento diretto della prestazione familiare da parte dell’Istituto per i soggetti percettori di trattamenti di CIGO, CIGS, CIGD, ASO, CISOA (impiegati) e IMA.

Ogni lavoratore interessato, pertanto, ove non vi abbia già provveduto, deve inviare tramite l’apposita procedura la richiesta di “ANF DIP” annuale per il periodo che, attualmente, va dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2021 e, analogamente, per i periodi precedenti o successivi.

Si ricorda altresì che è necessario presentare, precedentemente all’istanza di “ANF DIP”, la domanda di “Autorizzazione ANF” nei casi previsti, quali ad esempio per i nuclei monoparentali, nei casi di separazione/divorzio o per la maggiorazione dell’ANF nei casi di presenza di componenti inabili nel nucleo familiare, al fine di definire il diritto a maggiorazione della prestazione familiare.

L’importo teoricamente spettante calcolato dall’Inps dovrà essere riparametrato dal datore di lavoro nei modelli “SR41” o “SR43” semplificati, in base alle ore/giornate di trattamento richieste e in pagamento e non dovrà mai superare quello reso nella procedura “ANF DIP”.

Licenziamento e fatto materiale contestato

Con sentenza n. 12174/19 – Pres. Dott. Bronzini – pubblicata il 08.05.2019, la Sezione Lavoro
della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla nozione di “fatto materiale contestato” con riferimento all’art. 23 d. lgs. 23/15.

Responsabilità solidale e termine decadenziale

Giovanni Ugo Bargiacchi (avv. in Roma)

Con sentenza n. 18004/19 pubblicata il 04.07.2019, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha statuito che il termine decadenziale di due anni per agire in giudizio, decorrente dalla cessazione dell’appalto e gravante in solido[1] tra committente ed appaltatore ex art. 29 comma II d.lgs. 276/03, si applica solamente alle obbligazioni retributive, non già a quelle di natura contributiva, per le quali trova applicazione il termine prescrizionale di cinque anni.

La sentenza in commento, ribadendo quindi un indirizzo già ampiamente consolidato dalla suddetta Corte in diversi arresti giurisprudenziali (cfr. ex multis Cass. n. 8662/19; Cass. n. 5353/04; Cass. n. 15979/03), ha affermato che: “L’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo alI’INPS, è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva (Cass. 8662 del 2019), essa (Cass. n. 13650 del 2019) ha natura indisponibile e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base della contrattazione collettiva vigente (cd. “minimale contributivo”)” ed ancora “(…)Proprio dalla peculiarità dell’oggetto dell’obbligazione contributiva, che coincide con il concetto di <minimale contributivo> strutturato dalla legge in modo imperativo, discende la considerazione di rilevo sistematico che fa ritenere non coerente con tale assetto l’interpretazione che comporterebbe la possibilità, addirittura prevista implicitamente dalla legge come effetto fisiologico, che alla corresponsione di una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore- non possa seguire il soddisfacimento anche dall’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto”.

  1. Alla luce di ciò, si può sinteticamente riassumere che: 1) l’obbligo contributivo e quello retributivo hanno una funzione diversa e sono tra loro distinti per rilevanza sociale e natura; 2) la pretesa contributiva è finalizzata al soddisfacimento di un interesse indiretto del lavoratore e diretto della collettività, ossia il finanziamento del sistema previdenziale.

[1] nelle versioni post riforma apportate dal d.l. n. 5 del 2012, conv. con modif. in I. n. 35 del 2012, e dalla I. n. 92 del 2012 al criterio della solidarietà è stato sostituito quello della sussidiarietà tra committente ed appaltatore

TFR E PRESCRIZIONE

Giovanni Ugo Bargiacchi (avv. in Roma)

Con l’ordinanza n. 15157/19 – Pres. Manna, Relatore Cons. Curcio – pubblicata il 04.06.2019, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sia sulla decorrenza del termine prescrizionale circa la richiesta di pagamento del TFR da parte del prestatore al datore di lavoro, sia sull’inapplicabilità della prescrizione triennale presuntiva alla fattispecie testé richiamata.

L’ordinanza in commento, difatti, ribadendo un indirizzo già ampiamente consolidato dalla suddetta Corte in diversi arresti giurisprudenziali (cfr. ex multis Cass. n. 6522/17, Cass. 1684/17), ha statuito che: “al trattamento di fine rapporto non si applica la prescrizione triennale presuntiva, ma quella quinquennale (…) trattandosi di un’indennità che non viene erogata o corrisposta periodicamente, solo essendo riconosciuta annualmente nel suo importo progressivamente maturato (…) la prescrizione del diritto ad ottenere il pagamento del TFR decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro e tale diritto non va confuso col diritto, maturante anche nel corso del rapporto, all’accertamento della quota temporaneamente maturata  (…)” ed ancora “le prescrizioni presuntive, che trovano fondamento in quei rapporti che si svolgono senza particolari formalità in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazione né rilascio di quietanza scritta, non operano quando il contratto sia stipulato per iscritto” ( cfr. ex multis Cass. n. 1392/16; Cass. n. 11145/12).

Alla luce di ciò, si può sinteticamente evidenziare che: A) la prescrizione del pagamento del trattamento di fine rapporto inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro; B) Il diritto ad ottenere il pagamento del TFR è giuridicamente diverso dal diritto all’accantonamento della quota del TFR che matura annualmente in favore del prestatore; C) la prescrizione presuntiva triennale si applica solo in rapporti giuridici che non richiedono particolari formalità.

RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO ED INFORTUNIO Trib.Sassari, sez. Lav., 4 aprile 2019, n. 16

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il Trib. Sassari, sez. lav., 4 aprile 2019, n. 16 ha considerato responsabile il datore di lavoro, in qualità di legale rappresentante della società, per l’infortunio occorso alla mano sinistra della lavoratrice, con qualifica di garzone di cucina liv. 6 del C.C.N.L. per il settore alimentare, per aver prestato presso il laboratorio dell’azienda attività lavorativa. La mano della lavoratrice, mentre utilizzava un macchinario destinato al confezionamento di alimenti, più precisamente una termosaldatrice a 300, è stata pressata ad altissima temperatura all’interno del macchinario, che, privo del sistema di blocco automatico e dell’interruttore di emergenza nonché di altri sistemi di sicurezza, era stato disattivato solo dopo diversi minuti dai colleghi di lavoro, che erano riusciti a liberare l’arto e avevano chiamato i soccorsi. Dopo diversi interventi anche chirurgici dei sanitari, l’amputazione di alcune dita della mano, ed alcune complicanze, dopo la terapia antibiotica e la fisioterapia che ella ha dovuto affrontare, la lavoratrice ha riportato dall’infortunio postumi permanenti fisici, e uno stato di malessere fisico e psichico, per questi motivi chiedeva anche al datore di lavoro il risarcimento del danno biologico, danno morale e danni non patrimoniali.

Il Tribunale in oggetto ha riconosciuto il pagamento da parte dell’Inail alla lavoratrice una rendita annuale ed ha rigettato la domanda del risarcimento del danno in capo al datore di lavoro, in quanto non è emersa prova del nesso causale tra la condotta, attiva od omissiva, del datore di lavoro e l’infortunio patito dalla dipendente, da cui è derivato il danno biologico e patrimoniale allegato col ricorso; neppure è emersa prova di una colpa, sia pure in vigilando, del datore di lavoro.

PREMIO NASCITA

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Univ. Di Teramo e Consigliera di Parità alla Provincia di Benevento)

L’Inps, con mess. 16 maggio 2019, n. 1874, fornisce informazioni sul premio di 800 euro per la nascita o l’adozione di un minore di cui all’articolo 1, comma 353, della legge 11 dicembre 2016, n. 232.

A decorrere dal 4 maggio 2017 è stata rilasciata la procedura per la presentazione on line delle domande, che devono essere trasmesse all’Istituto esclusivamente in via telematica.

L’Inps ha recentemente realizzato il servizio “Premio Nascita” versione mobile, che consente la presentazione delle domande tramite dispositivo mobile/tablet.

La versione mobile del servizio consente di:

– presentare le domande di “Premio Nascita” per gli eventi di gravidanza in corso e nascita avvenuta;

– consultare le domande di “Premio Nascita” precedentemente inoltrate all’Istituto mediante i diversi canali previsti.

Il servizio per la presentazione della domanda attraverso dispositivi mobili è rivolto alle sole utenti che intendono richiedere il “Premio Nascita” esclusivamente per i seguenti eventi:

– compimento del 7° mese di gravidanza (ovvero dall’inizio dell’8° mese di gravidanza);

– nascita avvenuta, anche se antecedente all’inizio dell’8° mese di gravidanza.

Fondo di sostegno per i familiari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il  Fondo  di  sostegno  per le famiglie delle vittime di gravi infortuni  sul  lavoro, introdotto dall’art. 1, comma 1187, della legge 27 dicembre  2006, n. 296, come modificato dall’art. 2, comma 534, della legge  24  dicembre 2007, n. 244, eroga una prestazione una tantum al nucleo  dei  familiari  superstiti dei lavoratori deceduti a causa di infortunio  sul  lavoro. 

La  prestazione  erogata  dal  Fondo non è soggetta  a  rivalsa  e  non  limita l’ammontare del risarcimento del danno in favore dei familiari del lavoratore.

L’importo della prestazione è parametrato al numero  dei  familiari  superstiti  del lavoratore, ed è annualmente determinato da un Decreto ministeriale.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha emanato, per il 2018, il D.M. 25 gennaio 2019, n. 10, il quale comunica che, ferme restando le procedure, i requisiti e le modalità di accesso ai benedici del Fondo di sostegno per i familiari delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, per gli enventi verificatesi tra il 1° gennaio 2018 e il 31 dicembre 2018, l’importo della prestazione è determinato secondo le seguenti tipologie distinte per numerosità del nucleo familiare:

Tipologia A – numero superstiti 1 – importo per nucleo superstiti 3.000 euro

Tipologia B – numero superstiti 2 – importo per nucleo superstiti 6.000 euro

Tipologia C – numero superstiti 3 – importo per nucleo superstiti 9.000 euro

Tipologia C – numero superstiti 3 – importo per nucleo superstiti 13.000 euro

REDDITO DI CITTADINANZA E DISABILI

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

GUIDA PRATICA ALLE NUOVE PENSIONI

Il MINISTERO LAVORO E POLITICHE SOCIALI , con Comunicato 14 marzo 2019 rende noto che, in sede di conversione in legge del D.L. 4/2019, che istituisce Reddito di cittadinanza e Quota 100, sono state presentate tre importanti proposte, dal Sottosegretario al Lavoro Claudio Cominardi che, assieme al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con deleghe a Famiglia e Disabilità,Vincenzo Zoccano, per favorire l’accesso al Reddito di cittadinanza e alla Pensione di cittadinanza per le famiglie in cui sono presenti persone con disabilità gravi o persone non autosufficienti.

Le modifiche  mirano a favorire l’accesso alla Pensione di cittadinanza anche nei casi in cui uno o più componenti, pur avendo età inferiore ai 67 anni, siano in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, così come definita ai fini ISEE.

“Accogliamo la richiesta di aiuto di molte famiglie con disabili gravi e persone non autosufficienti. Famiglie nelle quali le oggettive difficoltà si uniscono a condizioni di particolare fragilità”, commenta il Sottosegretario al Lavoro Claudio Cominardi.

PERSONALE SCOLASTICO IN PENSIONE E D.L. 4/2019

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

L’INPS, con comunicato 11 marzo 2019, rende noto che ha predisposto una serie di importanti iniziative organizzative e procedurali per fronteggiare l’eccezionale carico di lavoro generato dalla riforma pensionistica del Decreto Legge 4 del 2019, che affianca una serie di importanti novità già previste dalla Legge di bilancio per l’anno 2019.

In particolare, per il personale scolastico l’Istituto ha avviato, in costante collaborazione col MIUR, attività dedicate di normalizzazione delle posizioni assicurative, con l’ausilio anche di una specifica struttura di progetto nazionale. La proficua collaborazione ha portato, da un lato, alla condivisione di atti di indirizzo adottati dal Ministero per il potenziamento degli strumenti per lo scambio dei dati tra l’Inps e gli Uffici scolastici territoriali e le istituzioni scolastiche e, dall’altro, all’individuazione di una precisa tempistica per le attività di sistemazione dei dati da parte delle Strutture scolastiche per consentire all’INPS la verifica del diritto a pensione e la successiva liquidazione alla decorrenza prestabilita.

Nell’ambito di tale collaborazione, già dal 2018 sono in corso appositi incontri formativi con le Strutture territoriali del Ministero, finalizzati ad agevolare il corretto utilizzo degli applicativi per lo scambio delle informazioni contributive.

In particolare, è destituita di ogni fondamento la notizia secondo cui si rischierebbe uno slittamento dei tempi che potrebbe far «saltare» la finestra d’uscita del 1° settembre 2019 a disposizione del personale scolastico per cui, pur avendo i requisiti quest’anno, di fatto ci si potrebbe pensionare solo nel settembre del 2020: chi ha conseguito il diritto alla pensione anticipata nei termini di legge sarà collocato in pensione dal 1° settembre prossimo.

GUIDA PRATICA ALLE NUOVE PENSIONI

SOTTRAZIONE DI BENI AZIENDALI E CASS. CIV., N. 7064 DEL 2019

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

La Corte di appello di Potenza, confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha respinto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato dall’azienda al lavoratore, addetto a mansioni di sorvegliante della struttura aziendale, per sottrazione dalla pompa di erogazione del distributore interno alla società di carburante caricato, in una tanica di circa 25 litri, sull’autovettura.

La Corte respingeva l’appello proposto dal lavoratore confermando la declaratoria di legittimità del licenziamento all’esito della prova testimoniale espletata avanti al Tribunale (dovendo ritenersi correttamente respinta l’eccezione di decadenza dall’escussione dei testimoni della società sollevata tardivamente dal lavoratore) e ritenuto ricostituito regolarmente il rapporto di lavoro – seppur mediante collocamento in cassa integrazione guadagni ordinaria – a seguito di un precedente licenziamento, dichiarato giudizialmente illegittimo.

Il lavoratore ha presentato ricorso in Cassazione, i quali giudici hanno ritenuto legittimo il licenziamento del lavoratore.

GUIDA PRATICA ALLE NUOVE PENSIONI

SINDROME DI WILLIAMS E PRESENTAZIONE DELLE DOMANDE DAL 4 MARZO 2019

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

L’INPS, con comunicato 07 marzo 2019, rende noto che dal 4 marzo 2019 i cittadini con sindrome di Williams, malattia genetica rara, sono valutati dalle commissioni mediche INPS, ai fini di invalidità civile ed handicap, con criteri scientifici e uniformi su tutto il territorio nazionale.

In tale data, infatti, la Commissione Medica Superiore INPS, ha diffuso a tutti i propri Medici una “Comunicazione tecnico-scientifica: la sindrome di Williams.

Aspetti clinici e valutazione medico legale in ambito assistenziale”, redatta in collaborazione con l’Associazione Italiana Sindrome di Williams Onlus, con conclusioni valutative chiare e rigorosamente motivate:

– per i minori, considerato il deficit cognitivo-comportamentale e l’impegno terapeutico – assistenziale che caratterizzano la sindrome, le linee guida prevedono, in ogni caso, il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento per “necessità di assistenza continua per compiere gli atti quotidiani della vita”;

– per gli adulti richiamano a un’attenta valutazione del quadro clinico al fine di riconoscere il diritto all’indennità di accompagnamento quando ne ricorrano i presupposti.

In ogni caso e in ogni età, deve essere riconosciuta la connotazione di gravità di cui all’art. 3, comma 3 della Legge 104/1992.

NASPI E DETENUTE

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

L’INPS, con Messaggio 5 marzo 2019, n. 909, fornisce chiarimenti in ordine all’erogabilità della prestazione di disoccupazione nei confronti del detenuto impegnato in attività di lavoro presso l’Istituto penitenziario ove si trova ristretto.

In base alla presente circolare si stabilisce che ai soggetti detenuti in Istituti penitenziari, che svolgano attività lavorativa retribuita all’interno della struttura ed alle dipendenze della stessa, non può essere riconosciuta la prestazione di disoccupazione in occasione dei periodi di inattività in cui essi vengano a trovarsi. È fatto salvo, invece, il diritto dei medesimi soggetti detenuti presso Istituti penitenziari alla indennità di disoccupazione da licenziamento nel caso in cui il rapporto di lavoro si sia svolto con datori di lavoro diversi dall’Amministrazione penitenziaria. Sul piano contributivo, tuttavia, gli Istituti penitenziari sono comunque tenuti al versamento della contribuzione contro la disoccupazione per i detenuti che svolgono attività alle loro dipendenze. Sotto il profilo assicurativo, detta contribuzione sarà utile – nel caso di cessazione involontaria da un rapporto di lavoro con datori di lavoro diversi dall’Istituto penitenziario – ai fini della prestazione di disoccupazione NASpI, qualora rientrante nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

Si rammenta infine che, secondo quanto disposto dalla legge 28 febbraio 1987, n. 56, i detenuti che già godevano del diritto all’indennità di disoccupazione prima che iniziasse lo stato di detenzione continuano ad averne diritto anche durante il periodo di detenzione, salvi i casi di revoca giudiziale della prestazione.

DIECI DELEGHE AL GOVERNO E NOVITÀ’ SUL LAVORO

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

La PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, con Comunicato 28 Febbraio 2019, n. 48, rende noto che il Consiglio dei Ministri si è riunito il 28 febbraio 2019, alle ore 20.33 a Palazzo Chigi ed ha approvato dieci disegni di legge di delega al Governo per le semplificazioni, i riassetti normativi e le codificazioni di settore. I testi approvati, alcuni dei quali sono collegati alla legge di bilancio per il 2019, fanno seguito e superano, ampliandone la portata, il disegno di legge in materia di semplificazione approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri lo scorso 12 dicembre.

Tra le 10 deleghe, si delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi di semplificazione e riassetto delle norme in materia di lavoro, al fine di creare un sistema organico di disposizioni in materia e di rendere più chiari i principi regolatori delle disposizioni già vigenti e costruire un complesso armonico di previsioni di semplice applicazione, a tutela dei diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro.

Tra le principali previsioni:

– si pone l’attenzione sulla materia dell’apprendistato al fine di semplificare gli adempimenti posti in capo al datore di lavoro in ordine agli obblighi di formazione;

– si interviene in materia di servizi per l’impiego, compreso il collocamento mirato, e di politiche del lavoro, nonché dei relativi sistemi informativi di supporto, al fine di razionalizzare le funzioni e i compiti in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali alle politiche del lavoro;

– si razionalizzano e riorganizzano le agenzie, gli enti o gli organismi facenti capo all’amministrazione statale che svolgono compiti in materia di servizi per l’impiego e politiche del lavoro, ivi compresi quelli preposti all’analisi delle politiche pubbliche, anche attraverso il loro accorpamento;

– si eliminano i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti per l’adeguamento alla normativa europea e si prevede l’obbligo per l’amministrazione di rendere facilmente conoscibili e accessibili le informazioni e i dati in materia (oltre alla relativa modulistica), assicurando al contempo l’integrazione e lo scambio di dati tra le amministrazioni dello Stato e altri soggetti pubblici e privati.

RESPONSABILITÀ’ DEL PARROCO IN CASO DI INFORTUNIO SUL LAVORO E CASS. PEN., SEZ. IV, 11 FEBBRAIO 2019, N. 6408

di Mario Scola (Ing. e docente al Liceo Scientifico di Vallo della Lucania (SA))

Il parroco ricorre avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Napoli, in data 2 marzo 2017, ha parzialmente riformato, confermandola nel resto, la condanna emessa a suo carico dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – articolazione territoriale di Caserta – in data 24 marzo 2015 per il delitto di lesioni personali colpose, con violazione della normativa antinfortunistica, in danno di un lavoratore. L’incidente oggetto del giudizio si verificava presso la chiesa di cui era parroco, il quale, aveva dato la sua disponibilità a eseguire gratuitamente lavori di pitturazione dell’interno della chiesa, utilizzando una scala dell’altezza di tre metri circa e un trabattello. Durante la pitturazione il lavoratore cadeva dalla scala, procurandosi le lesioni. Al parroco é contestato di avere impiegato il lavoratore in mansioni lavorative senza il rispetto delle regole cautelari e delle norme prevenzionistiche (non solo, come da originaria contestazione, l’art. 2087 cod.civ., ma anche l’art. 107 del d.lgs. 81/2008, che disciplina la sicurezza dei lavori in quota).

Il parroco ha presentato ricorso alla sentenza della Corte di appello. La Cassazione penale, con sentenza n. 6408 dell’11 febbraio 2019, ha rigettato il ricorso, affermando che “poiché il parroco ha la direzione delle attività della parrocchia, egli assume una posizione di garanzia nei confronti di chi presti, anche occasionalmente e su base volontaria, il proprio lavoro al suo interno, rispondendo pertanto delle eventuali lesioni personali cagionate dall’omessa adozione delle misure necessarie a prevenire gli infortuni sul lavoro”.

ALIQUOTE CONTRIBUTIVE PER LE AZIENDE AGRICOLE PER IL 2019

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

L’INPS, con circolare 07 marzo 2019, n. 37, comunica le aliquote contributive applicate, per l’anno 2019, alle aziende che operano nel settore dell’agricoltura, che impiegano operai a tempo indeterminato e a tempo determinato ed assimilati.

Nel calcolo delle aliquote contributive previste per le aziende che operano nel settore dell’agricoltura si deve tener conto delle disposizioni in materia contributiva stabilite dal D.lgs 16 aprile 1997, n. 146. L’articolo 3, comma 1, del citato decreto prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, le aliquote contributive dovute al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD) dai datori di lavoro agricolo, che impiegano operai a tempo indeterminato e a tempo determinato ed assimilati, siano elevate annualmente della misura di 0,20 punti percentuali a carico del datore di lavoro, sino al raggiungimento dell’aliquota complessiva del 32%, a cui si deve aggiungere l’incremento di 0,30 punti percentuali di cui all’articolo 1, comma 769, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Per l’anno 2019, quindi, l’aliquota contributiva di tale settore è fissata nella misura complessiva del 29,10%, di cui l’8,84% a carico del lavoratore.