Decreto legge per proroga dei termini e Consiglio dei Ministri

Giuseppe Sauchella (Avv., Amministratore unico di Sannioeuropa)

Quali misure sono state prorogate?

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 29 aprile 2021, ha approvato un decreto-legge, che introduce disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, che possiamo così sintetizzare:

  • Documenti di identità: proroga dal 30 aprile al 30 settembre 2021 dei termini di validità dei documenti di identità con scadenza entro il 31 gennaio 2020.
  • Patenti di guida: con riferimento alle domande presentate nel 2020 per sostenere l’esame di guida, il decreto estende da sei mesi a un anno il termine entro il quale è possibile sostenere la prova teorica per il conseguimento della patente.
  • Permessi di soggiorno: i permessi di soggiorno in scadenza entro il 30 aprile sono prorogati al 31 luglio 2021. Nelle more, gli interessati possono presentare istanza di rinnovo.
  • Smart working nella Pubblica Amministrazione: fino alla definizione dei contratti collettivi del pubblico impiego, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, le amministrazioni pubbliche – valorizzando l’esperienza acquisita nella organizzazione e nell’espletamento del lavoro in modalità agile, particolarmente, durante la pandemia – potranno continuare a ricorrere al lavoro agile secondo le modalità semplificate stabilite dall’articolo 263 del Dl 34/2020 (il cosiddetto “decreto Rilancio”), ma senza più essere vincolate al rispetto della percentuale minima del 50 per cento del personale e a condizione che l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini e imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza e nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente. Si avvia, quindi, un percorso di ritorno alla normalità, nella Pubblica Amministrazione, in piena sicurezza e nel rispetto dei principi di efficienza e produttività. 
  • Regioni, Enti locali e Camere di commercio: proroga i termini per il rendiconto e il bilancio consolidato delle Regioni e dei bilanci delle aziende sanitarie, nonché quelli del rendiconto e del bilancio degli enti locali e del bilancio d’esercizio delle Camere di commercio, delle loro Unioni regionali e delle relative aziende speciali riferiti all’esercizio 2020.

Brexit e lavoratori distaccati

Andrea Oregioni (Avvocato iscritto presso Ordine Avvocati di Roma, esperto in materia giuslavoristica e diritto civile e responsabile per ASSOIMPRESE delle province di Como-Sondrio-Varese e Lecco)

Circ. Inps n. 71 del 2021

L’Inps, con circ. n. 71 del 24 aprile 2021 fornisce indicazioni relativamente alla legislazione applicabile nelle fattispecie del distacco e dell’esercizio di attività in due o più Stati in seguito alla pubblicazione dell’accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione tra l’Unione europea (UE) e la Comunità europea dell’energia atomica, da una parte, e il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, dall’altra (TCA).

La circ. in esame precisa che per i lavoratori che svolgono l’attività lavorativa in uno Stato diverso da quello in cui ha sede il proprio datore di lavoro (lavoratori dipendenti) o di abituale esercizio dell’attività lavorativa (lavoratori autonomi) la possibilità di restare assoggettati alla legislazione dello Stato di invio per un periodo non superiore a 24 mesi.

I periodi di distacco autorizzati prima dell’entrata in vigore del TCA devono essere considerati per il calcolo del periodo di distacco ininterrotto conformemente all’applicazione dell’articolo 12 del regolamento (CE) n. 883/2004, cosicché la durata complessiva del distacco ininterrotto non potrà superare il limite dei 24 mesi, ricomprendendo anche i periodi ante 2021, fatta salva la possibilità di estendere la durata del distacco mediante la stipula di un accordo in deroga ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (CE) n. 883/2004. Per maggiore chiarezza, si riportano alcuni esempi relativi alle situazioni di distacco ininterrotto che possono verificarsi al 1° gennaio 2021:

  • formulario di distacco rilasciato per il periodo dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2020: estensione del distacco possibile fino al 31 dicembre 2021 (ulteriori 12 mesi, nel limite di 24 complessivi), conformemente all’articolo 12 del regolamento (CE) n. 883/2004;
  • formulario di distacco rilasciato per il periodo dal 1° luglio 2019 al 31 dicembre 2020: estensione del distacco possibile fino al 30 giugno 2021 (ulteriori 6 mesi, nel limite di 24 complessivi), conformemente all’articolo 12 del regolamento (CE) n. 883/2004;
  • formulario di distacco rilasciato per il periodo dal 1° gennaio 2020 al 31 dicembre 2021 (24 mesi complessivi): estensione del distacco possibile solo previa autorizzazione della proroga ai sensi dell’articolo 16 del regolamento (CE) n. 883/2004.

Smart Working e problemi connessi alla nuova organizzazione del lavoro

Paola Esposito (Psicologa del lavoro Psicoterapeuta)

L’epidemia da Sars Cov 2 che ha colpito l’intero pianeta, ha messo a dura prova le persone dal punto di vista economico-sociale e psicologico.

Lo stress psicologico vissuto in questi mesi è ancora altissimo, soprattutto per chi in questa difficile situazione sanitaria ha dovuto continuare a lavorare da casa, senza più distinguere lo spazio esterno da quello interno.

Lo spazio esterno riguarda la vita di relazioni delle persone, da quelle amicali a quelle lavorative fino alle normali interazioni quotidiane, ma non meno necessarie anche se instaurate con persone che incontriamo giornalmente, con le quali scambiamo semplici battute.

Gli scambi umani rappresentano per le persone la rete che supporta e che contiene nell’interazione con il mondo.

Nello spazio interno troviamo la famiglia, gli affetti più intimi, la casa con tutto ciò che rappresenta come ambiente di protezione e di accudimento.

Con la pandemia i due spazi di vita, si sono fusi e hanno creato una condizione mentale di enorme stress, ansia e spesso anche depressione.

In questo momento le persone si sentono relegate in una condizione di vita mai sperimentata fin’ora.

Un vissuto umano senza eguali, perché tutto si fonde insieme, in una condizione di assenza di confini, scompare per la prima volta la differenza tra vita lavorativa e vita privata.

In tutta questa situazione emergenziale l’utilizzo dello smart working è stato necessario e fondamentale per non fermare interi comparti economici.

Questa nuova organizzazione produttiva, ha evidenziato l’assenza del luogo di lavoro e il cambiamento dei rapporti umani, contribuendo a minare la salute mentale delle persone e anche la qualità del lavoro.

Lo smart working pur rimanendo un’opportunità in un momento difficile impatta notevolmente sulla qualità di vita del lavoratore che inevitabilmente ha bisogno per svilupparsi in maniera adeguata di stimoli provenienti dalla condivisione di tempi, di luoghi e di pensieri. 

Il rapporto con i colleghi per rimanere integro deve necessariamente collocarsi fuori dalla sfera personale dell’individuo, perché è grazie a questa separazione che le persone riescono a lavorare su argomenti e problematiche comuni che caratterizzano la loro organizzazione di appartenenza.

La pandemia ha imposto senza possibilità di riflessione, per l’assenza di tempo a disposizione, un nuovo modello organizzativo della società.

Il lavoro svolto in casa, grazie all’ausilio di un computer è sembrato da subito la soluzione più comoda, senza stress, con meno impegno di risorse economiche e soprattutto meno tempo perso negli spostamenti, una condizione apparentemente ideale, ma dai risvolti psicologici tutt’altro che rassicuranti.

L’impatto più importante c’è stato sulle relazioni, perché il lavoro non si occupa solo della produzione di beni e/o servizi, ma bensì di costruzioni di rete sociale. Lavorare in gruppo senza incontrare fisicamente i colleghi, senza condividere con loro lo spazio fisico, il contatto visivo, impoverisce l’incontro umano, perché la presenza segna la differenza nell’incontro.

Lo smart workng determina irrimediabilmente una cattiva gestione del tempo, che va ben oltre l’impegno canonico richiesto dall’azienda, lo stesso viene percepito generalmente come un lavoro che può accompagnarsi facilmente con faccende domestiche o la cura delle persone che vivono in famiglia; perché il lavoro da casa nella percezione comune è  considerato di serie “b”.

Un ulteriore svantaggio è quello di essere considerati dai colleghi che svolgono il lavoro in presenza, come dei privilegiati e per questo essere soggetti ad invidia.

Lo smart working priva il lavoratore di tutte quelle interazioni, così dette informali, alla macchinetta del caffè, in pausa pranzo, ecc, ma ugualmente strutturanti e significative per il rafforzamento della cultura aziendale.

Gli svantaggi dello smart working sono in linea generale:

  • Il prolungamento del lavoro al di là del tempo richiesto;
  • la frequente interruzione da parte di persone che sono presenti contemporaneamente nello stesso ambiente dove si svolge il lavoro, rappresentato il più delle volte la propria abitazione;
  • il rischio di essere percepiti come lavoratori con compiti di scarso valore;
  • la perdita di relazioni sociali nell’ambiente lavorativo.

Assegno di Maternità agli extracomunitari

avv. Corrado Spina (prof. a contratto Università dell’Aquila)

Interessante sentenza della Corte di Appello di Salerno del 1marzo 2021 n. 206 che ci offre lo spunto per analizzare due temi comuni in questa fase storica, dovuta alla presenza nel nostro Paese di molti extracomunitari sia con il permesso di soggiorno e sia irregolari.

Il primo fa riferimento all’assegno di maternità, mentre il secondo riguarda il “bonus bebè”, entrambi voluti dal Governo Italiano per dare un contributo alle famiglie a seguito della diminuzione delle nascite.

Purtroppo all’interno di questa categoria si determina una disparità di trattamento tra cittadini comunitari ed extracomunitari di non lungo periodo. Nella presente fattispecie di cui all’esame una signora extracomunitaria, con un breve permesso di soggiorno per motivi di lavoro, richiedeva al Comune di Capaccio Paestum assegno di maternità per la nascita del figlio.

Il Comune rigettava la richiesta in quanto la cittadina marocchina era titolare di un permesso di soggiorno in imminente scadenza e non di una carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno di lunga durata.

Il giudice di primo grado andava oltre le motivazioni espresse dal Comune, infatti sosteneva che si trattava di un’erogazione sostenuta dal finanziamento pubblico, di natura assistenziale ex art. 38 Cost. co. 1 e non già di natura previdenziale, e finalizzata ad incentivare la natalità. Non rientrava quindi, tra i settori di sicurezza sociale previsti dal Regolamento CE 833/2004, né dall’esclusione di tale beneficio era ravvisabile una disparità di trattamento fra cittadini italiani ed extracomunitari nel rispetto di esigenze di solidarietà e di rimozione di disagio sociale, sicché era infondata la dedotta incostituzionalità della normativa dell’assegno di maternità, né si ravvisava contrasto con la disciplina comunitaria.

Pertanto a seguito di queste motivazioni il Tribunale di Salerno con sentenza del 24 ottobre 2019 rigettava la domanda della sig.ra marocchina compensando le spese di lite.

Avverso tale provvedimento la ricorrente proponeva atto di appello, lamentando la violazione, ex art. 112 c.p.c., del principio tra chiesto e pronunciato, poiché in prima grado aveva richiesto il riconoscimento dell’assegno di maternità di cui all’art. 74 D.Lgs. 151/2001 e non il “bonus bebè”, di cui all’art. 1 co. 125 della legge 190/2014.

Si doleva, inoltre, della violazione del principio di parità di trattamento tra cittadini dei Paesi UE e stranieri extracomunitari in materia di protezione sociale.

Con la contumacia del Comune e la costituzione della sola INPS, dichiaratasi non legittimata in quanto l’assegno di maternità era una prestazione assistenziale concessa dai Comuni ed erogata dall’INPS, solo a seguito di una istruttoria e decisione di merito del Comune, la Corte di Appello di Salerno, con Sentenza del 1marzo 2021 n. 206, così provvedeva “Rigetta l’appello – Compensa e spese processuali”.

Assegno di maternità

L’assegno di maternità è previsto dall’articolo 74 D.Lgs. 151/2001, il quale stabilisce che per ogni figlio nato o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento viene corrisposta una somma alle madri che non beneficiano dell’indennità di maternità. Tale importo viene erogato alle donne residenti, cittadine italiane o comunitarie o in possesso del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, di cui all’art. 9 D. lgs. 268/1998. Per ottenere tale permesso, ex art. 9, bisogna soggiornare per almeno cinque anni, avere un reddito annuo non inferiore all’assegno sociale, un alloggio idoneo e la conoscenza della lingua italiana (art. 9 co. 2 bis).

Viene, inoltre, osservato che l’assegno di maternità è un sostegno economico che viene erogato quando maggiori sono le esigenze del beneficiario e che la norma «appare introdurre un’ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri, legalmente soggiornanti in Italia, prevedendo solo per i secondo l’ulteriore requisito di essere in possesso» del permesso di lungo periodo.

A tal proposito la Corte di Cassazione, accogliendo l’istanza di dieci diversi Tribunali, con Ordinanza del 19 giugno 2019 sollevava questione di legittimità costituzionale dell’art. 1 co. 125 della legge 23 dicembre 2014 n. 190 e dell’art. 74 D.lgs. 26 marzo 2001 n. 150 nella parte in cui le disposizioni censurate stabiliscono il requisito del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo per l’erogazione agli stranieri, rispettivamente, dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità.

In tema di assegno per maternità ex 75 D. lgs. 151/2001, costituisce atto di discriminazione in ragione della nazionalità il diniego della prestazione previdenziale ai cittadini di Paesi terzi per mancato possesso della carta di soggiorno, come emerge dalla lettura congiunta degli artt. 43 e 44 D. Lgs. 286/1998 e delle fonti sovranazionali in materia” (Cass. 23 maggio 2019 n. 14073).

Si ricorda ancora che “vi è difformità, alquanto evidente, tra il contenuto dell’art. 12 direttiva n. 98/2011/UE, interpretato alla luce del Reg. CE n. 883/2004 – per il quale i lavoratori dei paesi terzi dotati di “permesso di soggiorno unico” beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro per quanto riguarda le “prestazioni di maternità e di paternità assimilate” e le “prestazioni familiari” – e quanto disposto dall’art. 75 D. Lgs. 151/2001, nella parte in cui quest’ultima disposizione circoscrive, invece, l’ambito dei potenziali beneficiari dell’assegno di natalità ai soli stranieri lungo-soggiornanti” (Corte di Appello di Milano 20 marzo 2020).

Pertanto, in virtù di numerose sentenze, la Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità, con Sentenza del 30 luglio 2020 n. 182 ha sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale per la quale “se l’assegno di maternità debba essere concesso anche agli extracomunitari con permesso di soggiorno di non lungo periodo”, ed allo stato si è in attesa della decisione.

Bonus Bebè

Nell’ambito degli interventi normativi volti a sostenere i redditi delle famiglie, l’art. 1 co. 125 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015), ha previsto, per ogni figlio nato o adottato dal1 gennaio 2015 un assegno annuo di importo pari a 960 euro, da corrispondere mensilmente fino al terzo anno di vita del bambino, oppure fino al terzo anno dall’ingresso in famiglia del figlio adottato.

Tale beneficio è stato prorogato ed adottato anche per gli anni successivi, mentre è stato modificato con l’art. 1 co. 8 legge 30 dicembre 2020 n. 178 (legge di bilancio) con decorrenza 1° luglio 2021.

Ulteriore modifica è avvenuta con la legge 1° aprile 2021 che all’art. 2 ha previsto un assegno mensile per ciascun figlio minorenne a carico.

L’assegno è previsto per i figli di cittadini italiani o comunitari oppure per i figli di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (cinque anni) residenti in Italia, a condizione che il nucleo familiare di appartenenza del genitore richiedente sia in una situazione economica corrispondente ad un valore dell’ISEE non superiore ai 25.000 euro annui. Per i nuclei familiari in possesso di un ISEE non superiore a 7.000 euro annui, l’importo annuale dell’assegno è raddoppiato.

Tutti i requisiti devono essere posseduti al momento di presentazione della domanda.

Il pagamento mensile dell’assegno è effettuato dall’Istituto direttamente al richiedente, a seguito di domanda.

Nella presente fattispecie, come eccepito dall’INPS nella memoria difensiva, è stata dichiarata la carenza della legittimazione passiva di tale Istituto, posto che la domanda per la concessione dell’assegno di maternità andava inoltrata al Comune di residenza, il quale, solo dopo aver effettuato la verifica delle condizioni richieste, la comunicava all’INPS per la mera erogazione economica.

Nel caso di specie, stante il preliminare diniego del Comune, alcuna richiesta in tal senso perveniva all’istituto, il quale rimaneva completamente estraneo alla vicenda.

Il Comune, inoltre, negava l’assegno di maternità, in quanto la ricorrente era priva del requisito di cui all’art. 9 d. Lgs. 286/98, ovvero non era in possesso della carta di soggiorno da più di cinque anni.

Infatti il permesso ex art. 9 implica una valutazione di radicamento stazionario e non occasionale nel territorio, nel caso di specie la cittadina marocchina era titolare di un permesso valido solo per alcuni mesi.

Ancora non si poteva riferire di condotta discriminatoria, visto che il Comune in tanto partecipava al sostegno di un nuovo nato sul proprio territorio, in quanto ne riconosceva la permanenza stabile e non temporanea o transitoria nella comunità locale.

Per concludere, allo stato attuale sia l’assegno di maternità che il bonus bebè è precluso ai cittadini extracomunitari titolari di un permesso di soggiorno di non lungo periodo, in attesa che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea confermi tale requisito o decida in senso opposto.

Perché le organizzazioni devono prevenire il burnout

di Paola Esposito (Psicologa del lavoro e psicoterapeuta)

Burnout: che cos’è?

Il burnout è stato definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, come un fenomeno occupazionale, (stress da lavoro), che non è stato gestito con successo.

Nella definizione offerta dall’OMS il burnout è presentato esplicitamente come l’effetto del fallimento, dell’insuccesso nella gestione dello stress lavorativo, che, conseguentemente si è cronicizzato divenendo irreversibile.

La sindrome da burnout indica una condizione di forte esaurimento emotivo dei lavoratori che si trovano a vivere una condizione di altissimo stress, perché lavorano quotidianamente con persone che soffrono e che chiedono costantemente aiuto ed è questo il motivo della perdita di  forza per reagire anche alle più normali richieste di un impegno lavorativo.

Dal punto di vista professionale il burnout rappresenta la crisi della quantità e della qualità nel lavoro; è molto pericoloso per chi lo vive perché mina gravemente la stabilità lavorativa e quella personale.

La persona comincia gradualmente a perdere ogni energia ed entusiasmo per il suo impegno lavorativo e successivamente per la propria quotidianità.

Una delle categorie più esposte al fenomeno è da sempre quella sanitaria, in questo periodo a causa della pandemia, si raggiungono livelli di saturazione emotiva pericolosi, in questo settore.

Una strategia adottata, per fronteggiare l’eccessiva richiesta di aiuto, da molti professionisti è quella di prendere la distanza emotiva dalle persone delle quali ci si prende cura, evitando in questo modo un coinvolgimento diretto con il proprio lavoro, tutto ciò provoca nel lavoratore una risposta tutt’altro che positiva, perché si alimenta pur senza volerlo la percezione di inadeguatezza e di bassa competenza nella funzione svolta.

Il burnout può essere riconosciuto come:

  1. un sostanziale e progressivo deterioramento dell’impegno dedicato al lavoro, lo stesso lavoro percepito fino ad allora come ricco di stimoli e gratificante appare come insignificante;
  2. un impoverimento emotivo che provoca nel tempo vissuti che si alternano tra il piacere e la sicurezza, tra la rabbia e la depressione;
  3. una difficoltà di adattamento sul luogo di lavoro.

Manifestazione del burnout

Il burnout si manifesta prevalentemente su tre livelli:

  • livello emotivo,
  • livello comportamentale,
  • livello fisico.

Il primo livello impatta sulla sfera emotiva della persona, la quale non sente più stimoli positivi nello svolgimento del lavoro, al contrario avverte un forte distacco dalle persone e un disinteresse generale, perché percepisce un forte senso di stanchezza.

Il secondo livello è evidente nei comportamenti spesso aggressivi esibiti dal lavoratore con un vissuto di burnout, la persona ha una perdita di energia e per questo spesso si assenta dal lavoro, e inizia a fare abuso di sostanze come alcol e droghe e alla messa in atto   di  azioni di autolesionismo che possono arrivare al suicidio.

Il terzo livello rappresenta la condizione precaria di salute del lavoratore che inizia ad avere mal di testa, problemi digestivi, respiratori e disturbi del comportamento alimentare.

Le cause che possono provocare il burnout possono essere dovute al singolo lavoratore oppure all’organizzazione della quale fa parte.

Quando il lavoratore trascura i suoi affetti familiari e amicali e limita anche le possibilità di svago, rifugiandosi completamente nel lavoro, aumentando notevolmente la permanenza oraria, spesso con la reperibilità full time, negli anni le sue risorse mentali si esauriscono, fino a presentare comportamenti di fuga e di rottura di relazioni.

Il burnout che è dovuto all’organizzazione è scaturito da richieste sempre più stringenti dell’organizzazione, dallo svolgimento di un lavoro monotono scarsamente retribuito e dall’aumento della conflittualità tra colleghi.

Il burnout ha un’alta probabilità di palesare la sua presenza in tutti quei luoghi di lavoro dove la persona non è riconosciuta come valore e risorsa.

In definitiva sia le fonti sia le situazioni che possono determinare la sindrome da burnout dovranno nel tempo essere valutate e gestite perché solo in questo modo la dignità e la produttività del lavoro se ne gioveranno ampiamente e anche la salute del singolo così come il benessere aziendale rappresenteranno obiettivi perseguibili dall’intera organizzazione.

Modelli di mobbing

di Paola Esposito (Psicologa- psicoterapeuta)

I vari di mobbing

Il primo modello adottato nello studio del fenomeno mobbing è quello di Leymann (1990) il quale sostiene che le reali cause dell’esistenza del mobbing siano da ricercare nell’azienda, specificatamente nell’organizzazione del lavoro, negli stili di leadership, nel ruolo della vittima, nell’etica di chi dirige e infine nella capacità di gestione dei conflitti. Questo modello sostiene che le cause che possano indurre il mobbing non sono mai da far risalire alla persona, in quanto possibile portatrice di problemi personali, pertanto il modello Leymann basa le sue premesse sul paradigma che l’insorgenza del mobbing dipende esclusivamente da anomalie dovute all’organizzazione.

Il modello Ege (1997) si sviluppa su un modello a fasi crescenti: parte da una condizione zero nella quale è presente una notevole conflittualità nell’organizzazione, la fase successiva è quella del conflitto mirato dove viene individuata la vittima, si prosegue con la fase dell’inizio del mobbing dove la persona mobbizzata inizia a percepire cambiamenti di comportamenti dei colleghi e/o superiori verso se stesso, a seguire la fase dell’insorgenza dei primi sintomi psicosomatici nella vittima, si approda così alla fase dove sono evidenti gli errori e gli abusi da parte dell’amministrazione sul lavoratore, il quale viene spesso accusato per le sue assenze dal lavoro, l’unico strumento di difesa, percepito nel breve termine dallo stesso, penultima la fase che vede un aggravamento della salute psicofisica della vittima, fino all’ultima fase che prevede l’esclusione dal mondo di lavoro, che avviene con il licenziamento e volte anche anche se in minima percentuale anche con la morte per malattia o suicidio del lavoratore.

Il modello Einarsten (1999) si distingue il mobbing in due modalità di espressione: mobbing predatorio, mobbing collegato al conflitto. Per mobbing predatorio Einarsten intende quella situazione dove la vittima non presenta nessuna caratteristica specifica per la quale scatenare un’aggressione, piuttosto si trova in una condizione verso la quale l’aggressore decide di dimostrare la sua forza, come quella di appartenere ad una minoranza etnica, essere persone con disabilità o l’appartenere al genere femminile, le donne nelle organizzazioni vengono spesso percepite come maggiormente fragili e quindi bersaglio più semplice da colpire.

Il mobbing dovuto al conflitto è scaturito da un aumento progressivo dei conflitti interpersonali, questa fattispecie di conflitti, quando vengono reiterati sul luogo di lavoro, non assumono più il significato di contrasti tra individui, ma veri e propri attacchi alla condotta lavorativa della persona. Condizione condivisa da tutti i modelli sul mobbing è quella che vede per il lavoratore esposto per tempi prolungati a maltrattamenti sul lavoro, il rischio concreto di abuso di alcool e di droghe e quello di ammalarsi del disturbo post traumatico da stress.

Lavoratori usuranti e presentazione della domanda

di Giuseppe Sauchella (Avv., Amministratore unico di Sannioeuropa)

Presentazione delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti

L’Inps, con mess. n. 1169 del 19 marzo 2021, fa fornito chiarimenti per la presentazione delle domande di riconoscimento dello svolgimento di lavori particolarmente faticosi e pesanti, con riferimento ai soggetti che perfezionano i requisiti agevolati per l’accesso al trattamento pensionistico nel 2022.

La domanda di accesso al beneficio succitato deve essere presentata entro il 1° maggio 2021 per coloro che perfezionano i requisiti dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022.

Nel caso in cui la domanda venga presentata oltre i termini sopra individuati, e sempre che sia accertato il possesso dei requisiti prescritti, la decorrenza della pensione è differita un mese, per un ritardo della presentazione inferiore o pari a un mese; b) due mesi, per un ritardo della presentazione superiore a un mese e inferiore a tre mesi; c) tre mesi, per un ritardo della presentazione pari o superiore a tre mesi.

La domanda di accesso al beneficio deve essere corredata dalla documentazione minima necessaria indicata nella tabella A allegata al decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze, del 20 settembre 2011, in relazione alle tipologie di attività lavorative di cui all’articolo 1, comma 1, lettere da a) a d), del decreto legislativo n. 67 del 2011, come sostituita dalla tabella A allegata al decreto 20 settembre 2017 del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle finanze.

La domanda di riconoscimento del beneficio deve essere presentata telematicamente, corredata dal modulo “AP45” e dalla documentazione minima richiesta.

In esito alla domanda di accesso al beneficio, l’Istituto comunica al lavoratore interessato:

a) l’accoglimento della domanda, con indicazione della prima decorrenza utile del trattamento pensionistico, qualora sia accertato il possesso dei requisiti relativi allo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti e sia verificata la sussistenza della relativa copertura finanziaria;

b) l’accertamento del possesso dei requisiti relativi allo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, con differimento della decorrenza del trattamento pensionistico in ragione dell’insufficiente copertura finanziaria; in tal caso, la prima data utile per l’accesso al pensionamento viene indicata, con successiva comunicazione, in esito al monitoraggio di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale 20 settembre 2011;

c) il rigetto della domanda, qualora sia accertato il mancato possesso dei requisiti relativi allo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti.

Agli interessati, che presentano domanda entro il 1° maggio 2021 e che perfezionano i prescritti requisiti dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2022, l’Istituto comunicherà l’accoglimento della domanda con riserva in quanto l’efficacia del provvedimento è subordinata all’accertamento dell’effettivo perfezionamento dei requisiti entro il 31 dicembre 2022.

Protocollo del 24 marzo 2021 contro il caporalato nel settore food delivery

di Andrea Oregioni (Avvocato iscritto presso Ordine Avvocati di Roma, esperto in materia giuslavoristica e diritto civile e responsabile per ASSOIMPRESE delle province di Como-Sondrio-Varese e Lecco)

Protocollo contro il caporalato nel food delivery

Il 24 marzo 2021, tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e le associazioni sindacali Assodelivery – l’associazione che riunisce alcune delle più importanti piattaforme presenti in Italia – Cgil, Cisl e Uil, rappresentanti dei sindacati indipendenti di rider hanno sottoscritto un Protocollo sperimentale per la legalità contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo nel food delivery.

Nel protocollo, le Parti sociali stabiliscono che:

  • le Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente Protocollo si impegnano a raccogliere nella completa riservatezza ogni utile notizia ovvero segnalazione di condotte anomale o comunque potenzialmente illegali in ordine al ricorso a forme illecite di intermediazione di manodopera, sfruttamento e caporalato che saranno trasmesse all’Organismo di Garanzia;
  • entro il termine di sei mesi dalla stipula del Protocollo, le società aderenti ad AssoDelivery si impegnano ad avere o ad adottare Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo (MOGC 231) ai sensi del D. Lgs. 231/2001 e un Codice Etico, che sarà oggetto di informativa alle Parti sindacali firmatarie;
  • Assodelivery e le società da essa rappresentate, procederanno in via transitoria alla creazione di un proprio albo nazionale di società autorizzate o di altro proprio registro di simile natura.
    Nelle more della creazione dell’albo si impegnano a non ricorrere a società terze al fine di proporre la consegna degli ordini attraverso le piattaforme di food delivery con cui operano le società;
  • entro sei mesi dalla stipula del Protocollo, ognuna delle società aderenti ad Assodelivery designerà, nell’ambito dei componenti del proprio Organismo di Vigilanza a livello nazionale costituito ai sensi del D.Lgs. 231/2001, un proprio rappresentante;
  • le Parti si impegnano, dopo il periodo di sperimentazione iniziale di un anno, alla verifica dei risultati conseguiti e dell’attività dell’Organismo di Garanzia, ed eventualmente sottoporre a riesame le norme in esso contenute.

FONDO FON.TE: PROROGA DELL’INVIO DELLA COMUNICAZIONE PERIODICA AL 31 LUGLIO 2021

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

Possono aderire a Fon.Te. tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato, con contratto a tempo pieno o a tempo parziale nonché i lavoratori assunti a tempo determinato ovvero con periodicità stagionale, la cui attività lavorativa abbia durata complessivamente non inferiore a tre mesi nell’anno ai quali viene applicato uno dei seguenti contratti:

  1. CCNL per i dipendenti del Terziario, della distribuzione e dei servizi (CONFCOMMERCIO);
  2. CCNL per i dipendenti da aziende del settore Turismo
  3. CCNL dipendenti da aziende ortofrutticole e agrumarie;
  4. CCNL dipendenti da impianti sportivi;
  5. CCNL dipendenti da istituti di sostentamento del clero;
  6. CCNL dipendenti da istituti di vigilanza privata(stipulato tra ASSVIGILANZA, ASSOVALORE, UNIV e le Organizzazioni sindacali);
  7. CCNL dipendenti da istituti di vigilanza privata(stipulato tra ASSIV e le Organizzazioni sindacali);
  8. CCNL dipendenti da Imprese di pulizie (stipulato tra FNIP/Confcommercio e le Organizzazioni sindacali);
  9. CCNL per i dipendenti da proprietari di fabbricati (stipulato tra CONFEDILIZIA e le Organizzazioni sindacali);
  10. CCNL per i dipendenti da Associazione nazionale Commercio ed Esportazione Fiori.;
  11. CCNL per i dipendenti del Terziario, della distribuzione e dei servizi (CONFESERCENTI)
  12. CCNL  per  personale dipendente dalle realtà del settore socio-sanitario-assistenziale-educativo;
  13. CCNL  per  i dipendenti da studi professionali;
  14. CCL per  i dipendenti da  Società Canottieri Associazioni Sportive e Ricreative Cremona
  15. CCNL  per  i dipendenti da Federazione nazionale unitaria titolari di farmacia italiani;
  16. CCNL per  i dipendenti da  Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali;
  17. CCNL per  i dipendenti da  Associazione italiana catene alberghiere;
  18. CCNL ARTIGIANI (ad esclusione dell’edilizia);
  19. CCL per i dipendenti da Conferenza Episcopale italiana, Caritas italiana, Fondazione Migrantes, Fondazione Missio e Fondazione Santi Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena;
  20. CCNL per i dipendenti da imprese private operanti nella distribuzione, recapito e dei servizi postali;
  21. CCL per  i dipendenti da  F.C. Internazionale Milano
  22. CCNL per i dipendenti da FRUITIMPRESE
  23. CCL per  i dipendenti da  VIDEOMEDIA S.p.A.
  24. CCNL per i dipendenti da aziende del settore Turismo (CONFESERCENTI) e dipendenti da Federterma
  25. CCNL per i dipendenti da Federfarma
  26. CCNL per i dipendenti da Servizi ausiliari, fiduciari e integrati (S.A.F.I.)
  27. CCNL per i dipendenti area alimentazione-panificazione(imprese non artigiane fino a 15 dipendenti)
  28. CCNL per i dipendenti da agenzie di somministrazione di lavoro (stipulato tra ASSOLAVORO e  le Organizzazioni sindacali)

A causa del Covid-19, il Fondo Fon.Te ha comunicato che l’invio della comunicazione periodica annuale agli aderenti – solitamente fissato al 31 marzo – è stato prorogato al 31 luglio 2021.

La COVIP ( Commissione di Vigilanza sui fondi pensione) di recente ha  emanato  provvedimenti   specifici  in merito alle “Istruzioni di vigilanza in materia di trasparenza” e il “Regolamento sulle modalità di adesione alle forme pensionistiche complementari”. Si tratta di una ulteriore “operazione trasparenza”, che introduce novità in tema di informazioni e comunicazioni trasparenti da parte dei fondi pensione che impattano anche sul contenuto della “Comunicazione periodica” e della “Nota informativa”. Le disposizioni  in materia di comunicazioni agli aderenti e ai beneficiari (compresa la comunicazione periodica agli iscritti) dovranno avere una veste grafica semplificata per consentire ad ogni iscritto di individuare in modo più agevole lo sviluppo della propria posizione previdenziale e di conseguenza di valutare le possibili scelte da operare per proseguire nella costruzione e nella crescita della propria pensione complementare. Lo slittamento al 31 luglio 2021 della data d’invio della Comunicazione Periodica è volto a consentire ai fondi pensione di avere il tempo necessario per finalizzare la nuova documentazione, in linea con le indicazioni fornite dalla Covip.

CONGEDO PARENTALE COVID-19 E D.L. 30/2021

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

L’Inps, con mess. n. 1276 del 25 marzo 2021, ha fornito i primi chiarimenti sull’art. 2, commi 2 e 3, del d.l. 13 marzo 2021, n. 30, che ha introdotto un nuovo congedo, indennizzato al 50% della retribuzione, per i genitori con figli affetti da Covid19, in quarantena da contatto ovvero nei casi in cui l’attività didattica in presenza sia sospesa o i centri diurni assistenziali siano chiusi.

Il congedo in commento spetta:

  1. ai genitori lavoratori dipendenti, alternativamente tra loro (non negli stessi giorni), per figli conviventi minori di anni 14;
  2. ai genitori lavoratori dipendenti per figli con disabilità grave.

Nel primo caso, per poter fruire del congedo di cui trattasi devono sussistere tutti i seguenti requisiti:

  1. il genitore deve avere un rapporto di lavoro dipendente in essere;
    1. il genitore deve svolgere una prestazione lavorativa per la quale non è prevista la possibilità di svolgimento della stessa in modalità agile;
    2. il figlio per il quale si fruisce del congedo deve essere minore di anni 14;
    3. il genitore e il figlio per il quale si fruisce del congedo devono essere conviventi durante tutto il periodo di fruizione del congedo stesso;
    4. deve sussistere una delle seguenti condizioni in relazione al figlio per il quale si fruisce del congedo:
      1. l’infezione da SARS Covid-19;
      2. la quarantena da contatto (ovunque avvenuto) disposta con provvedimento del Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente; 3) la sospensione dell’attività didattica in presenza.

Nel secondo caso, per ottenere il congedo devono sussistere tutti i seguenti requisiti:

  1. il genitore deve avere un rapporto di lavoro dipendente in essere;
    1. il genitore deve svolgere una prestazione lavorativa per la quale non è prevista la possibilità di svolgimento della stessa in modalità agile;
    2. il figlio, per il quale si fruisce del congedo, deve essere riconosciuto disabile in situazione di gravità ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della legge n. 104/1992, e iscritto a scuole di ogni ordine e grado o ospitato in centri diurni a carattere assistenziale;
    3. deve sussistere una delle seguenti condizioni in relazione al figlio per il quale si fruisce del congedo:
      1. l’infezione da SARS Covid-19;
      2. la quarantena da contatto (ovunque avvenuto) disposta con provvedimento del Dipartimento di prevenzione della ASL territorialmente competente;
      3. la sospensione dell’attività didattica in presenza;
      4. la chiusura del centro assistenziale diurno.

Il congedo in argomento può essere fruito per periodi, coincidenti in tutto o in parte, con quelli di infezione da SARS Covid-19, di quarantena da contatto, di sospensione dell’attività didattica in presenza o di chiusura dei centri diurni assistenziali del figlio, ricadenti nell’arco temporale compreso tra il 13 marzo 2021, data di entrata in vigore della norma, e il 30 giugno 2021. Gli eventuali periodi di congedo parentale o di prolungamento di congedo parentale fruiti dal 1° gennaio 2021 e fino al 12 marzo 2021 potranno essere convertiti, senza necessità di annullamento, nel congedo di cui trattasi, solamente presentando domanda telematica del nuovo congedo, non appena sarà adeguata la relativa procedura informatica.

Decreto Sostegno e misure per le imprese

di Giuseppe Sauchella (Avv., Amministratore unico di Sannioeuropa)

Quali misure nel Decreto Sostegno per le imprese?

Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 19 marzo 2021, ha approvato un decreto-legge che introduce misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all’emergenza da COVID-19.

Si prevede un contributo a fondo perduto per i soggetti titolari di partita IVA che svolgono attività d’impresa, arte o professione, nonché per gli enti non commerciali e del terzo settore, senza più alcuna limitazione settoriale o vincolo di classificazione delle attività economiche interessate. Per tali interventi, lo stanziamento complessivo ammonta a oltre 11 miliardi di euro.

Potranno presentare richiesta per questi sostegni i soggetti che abbiano subito perdite di fatturato, tra il 2019 e il 2020, pari ad almeno il 30 per cento, calcolato sul valore medio mensile. Il nuovo meccanismo ammette le imprese con ricavi fino a 10 milioni di euro, a fronte del precedente limite di 5 milioni di euro.

L’importo del contributo a fondo perduto sarà determinato in percentuale rispetto alla differenza di fatturato rilevata, come segue:

  • 60 per cento per i soggetti con ricavi e compensi non superiori a 100mila euro;
  • 50 per cento per i soggetti con ricavi o compensi da 100 mila a 400mila euro;
  • 40 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 400mila euro e fino a 1 milione di euro;
  • 30 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 1 milione e fino a 5 milioni di euro;
  • 20 per cento per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 5 milioni e fino a 10 milioni di euro.

In ogni caso, tale importo non potrà essere inferiore a 1.000 euro per le persone fisiche e a 2.000 euro per gli altri soggetti e non potrà essere superiore a 150mila euro.

Il contributo potrà essere erogato tramite bonifico bancario direttamente sul conto corrente intestato al beneficiario o come credito d’imposta, da utilizzare esclusivamente in compensazione.

Per il sostegno alle attività d’impresa di specifici settori, sono inoltre previsti:

  • un Fondo per il turismo invernale;
  • l’aumento da 1 a 2,5 miliardi dello stanziamento per il Fondo per l’esonero dai contributi previdenziali per autonomi e professionisti;
  • la proroga del periodo di sospensione delle attività dell’agente della riscossione fino al 30 aprile 2021.

Per il sostegno alle imprese, è, inoltre, previsto un intervento diretto a ridurre i costi delle bollette elettriche.

Notifica Pec – Nota a Cass. civ., n. 5646 del 2021

di Corrado Spina (Avv. e prof. a contratto presso l’Università dell’Aquila)

Le questioni e le problematiche sulla notifica Pec: Cass. civ., n. 5646 del 2021

La Corte di Cassazione con Sentenza del 2 marzo 2021 n. 5646 ha stabilito che“La notifica  a mezzo PEC si ha perfeziona con la ricevuta con cui l’operatore attesta di aver rinvenuto la casella Pec del destinatario piena, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione rappresenta un evento imputabile al destinatario“.

La decisione de quo ci permette di analizzare un argomento molto comune negli ultimi tempi, ovvero la notifica telematica a mezzo Posta Elettronico Certificata.

La notifica telematica è un istituto previsto dalla legge 21 gennaio 1994 n. 53, che ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, da ultimo legge 6 agosto 2015 n. 132.

Con tale mezzo è possibile non  recarsi presso l’Ufficiale Giudiziario, che ormai notifica solo in via residuale, con notevole guadagno sia di tempo che economico.

Tuttavia sia il notificante che il destinatario devono possedere un indirizzo di Posta Elettronica Certifica, diventato obbligatorio per tutte le imprese ed i professionisti con il Decreto Legge 18 ottobre 2012 n. 179 convertito in Legge 17 dicembre 2012 n. 221,risultante  da pubblici elenchi.

La notifica si perfeziona, per il notificante, nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna, così come previsto dall’art. 6 co. 2 del D.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68.

Qualora, invece, il messaggio di posta elettronica certificata non risulta consegnabile il gestore comunica al mittente la mancata consegna tramite un avviso, in tal caso la notifica deve essere effettuata in maniera cartacea tramite l’Ufficiale Giudiziario o in proprio, se autorizzato dal Consiglio dell’Ordine.

Inoltre, tale notifica va eseguita mediante deposito in cancelleria, se il destinatario non ha un indirizzo di posta elettronica certificato o nell’ipotesi di mancata consegna del messaggio di PEC per cause imputabili al destinatario.

Il problema si pone se la mancata consegna è dovuta per il non rinnovo della PEC o perché la stessa era piena.

Nel primo caso, fermo restando le sanzioni amministrative che incorrerà il soggetto titolare della Posta Elettronica Certificata di cui al Decreto legge n. 179/2012 e convertito in legge 221/2012, il notificante deve provvedere alla notifica cartacea ex art. 137 e ss. c.p.c. 

In caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella PEC, pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli articoli 137 c.p.c  e segg.,  atteso che la notifica trasmessa a mezzo PEC dal difensore si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC)” (Cass.17 luglio 2020 n. 15298).

Nel secondo caso, ed è questo il principio della Cassazione, la notifica si intende “per eseguita” (consegnata), equiparando tale risultato alla compiuta giacenza, come si verifica quando a notificare è un operatore delle Poste.

La notificazione di un atto eseguita  a mezzo Pec si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di aver rinvenuto la casella Pec del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario (Cass. 23 febbraio 2021 n. 4920).

Pertanto la mancata consegna all’avvocato della comunicazione o notificazione inviatagli a mezzo posta elettronica certificata produce effetti diversi a seconda che egli sia o meno responsabile di tale inconveniente: nel primo caso le notificazioni  saranno eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria; nel secondo, invece,  attraverso l’utilizzo delle forme ordinarie previste dal codice di rito.

È ormai Giurisprudenza costante annoverare tra “le cause imputabili al destinatario”, la mancata comunicazione per saturazione della casella di posta elettronica, avendo affermato che “il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale dovuto alla saturazione della casella di posta elettronica del destinatario, legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ex art. 16 co. 6 del Decreto Legge 179/2012” (Cass. 20 maggio 2019 n. 13532).

La vicenda trae origine da un ricorso in Cassazione di opposizione  allo stato passivo, dichiarato inammissibile perché notificato oltre i termini.

Nella presente fattispecie, la cancelleria del Tribunale aveva provato a notificare a mezzo pec il verbale di stato passivo all’avvocato dei lavoratori, ma constatata la casella piena provvedeva a rinotificare, dopo qualche giorno, l’atto in cancelleria, così come previsto dalla normativa.

Il difensore, avuta conoscenza del deposito, proponeva ricorso in cassazione avendo come riferimento il termine del deposito dell’atto in cancelleria e non della notifica via pec con casella piena.

L’avvocato di controparte eccepiva la intempestività  del ricorso, essendo trascorsi più di trenta giorni dalla data della notifica telematica e la Corte di Cassazione accoglieva questo orientamento, equiparando la casella piena alla avvenuta consegna, facendo decorrere  da tale giorno i termini per l’impugnativa.

Va premesso che ai sensi dell’art. 99 della legge Fallimentare, il Decreto che decide sull’opposizione allo stato passivo “è comunicato dalla cancelleria alle parti che, nei successivi trenta giorni, possono proporre ricorso per cassazione”.

Pertanto la comunicazione effettuata dal cancelliere, mediante Pec, è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione in cassazione

Risolto la fattispecie inerente alla notifica, il problema successivo riguarda la decorrenza del “dies a quo”, ovvero se si applica quello della mancata consegna o del successivo deposito in cancelleria. Il dubbio viene superato dalla legge che al comma 8 dell’art. 16 del Decreto Legge 179/2012 stabilisce“Quando non è possibile procedere ai sensi del comma 4 (notifica a mezzo pec) per causa non imputabile al destinatario, nei procedimenti civili si applicano gli artt.  136 e 137  c.p.c “ . Di conseguenza, il dies a quo in caso di  mancata consegna per “Casella Piena”, quando la saturazione della stessa è imputabile al destinatario, decorre dal momento in cui il gestore genera la ricevuta in cui attesta di aver consegnato l’atto. Viceversa, quando non viene prodotta tale attestazione, perché il destinatario non ha la pec o per causa a lui non imputabile, il dies a quo decorre dall’effettiva ricezione dell’atto nelle mani del destinatario, come prevede la normativa vigente. 

Per concludere, i titolari della casella di posta elettronica certificata devono prestare la massima attenzione per la gestione della stessa, in quanto un uso errato può determinare gravi conseguenze processuali, in particolare la tardività delle impugnazioni, nonché la prescrizione  o la decadenza di eventuali azioni.

Mobbing e le conseguenze psicologiche

di Paola Esposito (Psicologa- psicoterapeuta)

La “sofferenza psicologica” del mobbing

Il mobbing si palesa come una condotta aggressiva, sia fisica, sia psicologica rivolta alle persone in ambienti lavorativi.

Il mobbing può essere messo in atto dal datore di lavoro, dal o dai vertici aziendali, dai superiori gerarchici o dai colleghi di lavoro, nei confronti di una o più persone che si trovano dinanzi ad un vissuto di inferiorità psicologica, attraverso comportamenti ripetuti di ostilità, spesso illeciti, vessatori e lesivi della dignità della persona, questi comportamenti sono messi in atto con l’intenzione di provocare danni sia fisici, sia psicologici alla vittima, molto spesso con l’obiettivo di determinarne l’uscita del lavoratore dall’azienda, il mobbing perché sia riconosciuto come un fenomeno discriminatorio deve durare nel tempo.

Oltre a portare il lavoratore al licenziamento, questo fenomeno può essere la causa anche di una forte discriminazione sul lavoro, come ad esempio un trasferimento ad una sede lontana,  mancato riconoscimento di incentivi economici e molestie sessuali.

La grande sofferenza psicologica di un lavoratore soggetto al mobbing, limita fortemente la  capacità di comunicazione. La persona anche quando parla viene interrotta di frequente, le relazioni sociali con i colleghi vengono compromesse e la sua psiche va in contro a disagi che possono provocare stati di:

ansia generalizzata:

  • con sintomi che vanno dal timore del futuro alla difficoltà di concentrazione,
  • dalla stanchezza cronica a sensazioni di svuotamento,
  • dall’insonnia a tremori muscolari;

aumento del livello di stress che porta a sintomi fisici:

  • come mal di testa,
  • tensione del collo,
  • problemi allo stomaco,
  • vissuto di stanchezza;
  • sintomi comportamentali:
  • alimentazione compulsiva,
  • aumento del consumo di alcolici,
  • comportamenti critici verso gli altri,
  • difficoltà a portare a termine specifici compiti;
  • sintomi emozionali:
  • rabbia,
  • pianto frequente,
  • infelicità;
  • sintomi cognitivi:
  • preoccupazione costante,
  • mancanza di creatività,
  • depressione anche grave accompagnata da vissuti di angoscia,
  • di disperazione, solitudine,
  • senso di vuoto.

Lo stress, l’ansia, e la depressione sono connessi a specifici disturbi psicologici, il più grave e più diffuso è il Disturbo post traumatico da stress il quale si manifesta nella persona come conseguenza di una paura intensa, e soprattutto con la presenza di vissuti intensi di impotenza, con ricordi spiacevoli e intrusivi. Il disturbo si riscontra frequentemente nelle situazioni di mobbing, perché uno dei fattori di rischio individuali più gravi è il basso sostegno sociale che percepisce la vittima, molto spesso lasciato sola a vivere questa difficile condizione.

Un’altra variabile importante è la caratteristica di personalità della persona mobbizzata e pertanto una persona con una buona stabilità emotiva, sostenuta da una rete amicale e sociale, con evidenti caratteristiche di creatività riuscirà meglio a gestire una condizione di mobbing, perché le risorse personali rappresenteranno una valida risposta nel contrasto al fenomeno mobbing.

Congedo per i padri lavoratori dipendenti

di Giuseppe Sauchella (Avv., Amministratore unico di Sannioeuropa)

Congedo obbligatorio e facoltativo dei padri lavoratori dipendenti per l’anno 2021

Le modifiche apportate dall’art. 1, comma 363, lettere a) e b), della l. 178/2020, c.d. legge di bilancio 2021, al comma 354 dell’art. 1 della l. 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017) comportano:

  • la proroga del congedo obbligatorio e del congedo facoltativo del padre, che costituiscono misure sperimentali introdotte dalla l. 92/2012, anche per le nascite, le adozioni e gli affidamenti avvenuti nell’anno 2021 (1° gennaio – 31 dicembre);
  • l’ampliamento da sette a dieci giorni del congedo obbligatorio dei padri, da fruire, anche in via non continuativa, entro i cinque mesi di vita o dall’ingresso in famiglia o in Italia (in caso, rispettivamente, di adozione/affidamento nazionale o internazionale) del minore.

Fruizione del congedo obbligatorio e facoltativo dei padri in caso di morte perinatale del figlio L’art. 1, comma 25, della l. 178/2020 ha modificato l’art. 4, comma 24, lettera a), della l. 92/2012, aggiungendo dopo le parole “nascita del figlio” le seguenti: “, anche in caso di morte perinatale”. Pertanto, il primo periodo della citata lettera a) risulta così modificato: “Il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, anche in caso di morte perinatale, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di […]”. Di conseguenza il congedo può essere fruito, sempre entro i cinque mesi successivi alla nascita del figlio, anche nel caso di:

1) figlio nato morto dal primo giorno della 28° settimana di gestazione (il periodo di cinque mesi entro cui fruire dei giorni di congedo decorre dalla nascita del figlio che in queste situazioni coincide anche con la data di decesso);

2) decesso del figlio nei dieci giorni di vita dello stesso (compreso il giorno della nascita).

Il periodo di cinque mesi entro cui fruire dei giorni di congedo decorre comunque dalla nascita del figlio e non dalla data di decesso. Dalla tutela restano pertanto esclusi i padri i cui figli (nati, adottati o affidati) siano deceduti successivamente al decimo giorno di vita (il giorno della nascita è compreso nel computo).

Infine, per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenuti nell’anno 2020, i padri lavoratori dipendenti hanno diritto a sette giorni di congedo obbligatorio (più uno di congedo facoltativo), anche se ricadenti nei primi mesi dell’anno 2021. Anche nei casi di morte perinatale avvenuti nell’anno 2020, con periodo di fruizione totalmente o parzialmente ricadente nell’anno 2021, acquisito il parere favorevole del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, è riconosciuto il diritto a sette giorni di congedo obbligatorio e uno di congedo facoltativo.

Covid-19 e aspetti psicologici

di Paola Esposito (Psicologa- psicoterapeuta)

Quali sono i comportamenti psicologici in risposta alla pandemia?

In questo momento storico, due sono i pensieri prevalenti nelle persone, il primo potremmo definirlo come pensiero catastrofico, il secondo come ottimistico illusorio.

Chi vive il pensiero catastrofico, corre il rischio più di altri di ammalare il proprio corpo e la mente, perché si trova a gestire un vissuto insostenibile, rappresentato da una paura incontrollabile, che può portare anche al suicidio.

A livello individuale chi percepisce questo vissuto presenta segnali preoccupanti come un aumento di irritabilità, insonnia, paure generalizzate o specifiche, tristezza, depressione e numerosi sintomi legati all’ansia, connessi con la percezione di pericolosità diffusa, col sentirsi minacciati da qualcosa che non è identificabile e che potrebbe essere presente ovunque.

Il secondo atteggiamento esplicitato da un ottimismo illusorio spinge a pensare a una condizione di vita del tutto nuova, percepita come una sicura occasione di cambiamenti migliorativi personali e lavorativi, aderendo in questo modo al cosiddetto “pensiero magico”.

Questo tipo di pensiero è animato dalla “vittoria” del principio di realtà sul principio di piacere, la persona tende a credere che il modo come percepisce il mondo, sia una buona rappresentazione del mondo stesso, tutto ciò è influenzato da credenze interne della persona, la quale si fa dirigere da ciò che desidera, ciò che percepisce più appagante, questo atteggiamento si configura all’inizio come il passaggio dal sogno, alla frustrazione, alla traumatica presa di coscienza di realtà.

Entrambe le strategie possono fare oscillare la persona verso comportamenti quali: adesione critica alle fake news, sfiducia sociale, sentimenti ostili verso gli altri ritenuti untori, siano essi conoscenti, colleghi, emarginazione pregiudiziale anche delle persone guarite, inoltre nel tempo approderanno  tutti  inevitabilmente a una condizione di forte frustrazione.

Gli atteggiamenti giusti da tenere in questo momento, possiamo farli risalire a due importanti strategie messe in atto dall’essere umano.

La prima si riferisce alle strategie individuali di gestione del cambiamento che consistono nella scoperta per ogni persona delle proprie doti di resilienza, potenziando il proprio senso di responsabilità etica verso gli altri; oppure approfittare del momento per riflettere sul senso delle cose fatte fino a quel momento e ciò che si desidera fare in futuro e per questo ridisegnare le proprie priorità. Mettendo al centro i propri progetti la salute e il benessere, rispetto a scopi utilitaristici di gratificazione immediata, la persona sceglie di potenziare parte delle sue competenze per affrontare meglio le sue criticità. Ciò a significare che anche se l’individuo si trova in una condizione di pericolo e di incertezza può e deve intravedere strategie di rilancio, percepiti come opportunità di cambiamento personale.

La seconda strategia è collettiva, ponendo al centro il valore delle relazioni informali di parentela, amicizia o conoscenza, fondamentali per promuovere le reti di impegno civico, l’equilibrio fra i tempi di lavoro e quelli privati, l’assunzione di responsabilità nel cercare informazioni attendibili per superare convinzioni sbagliate sulla propria salute e quella degli altri, ed infine la sostenibilità ambientale.

Convid-19 ed agevolazione a casualità sui contratti di somministrazione a termine: Interpello del Ministero del lavoro n. 2 del 2021

di Antonio Pellicanò (dott. e Project Manager)

Interpello del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali n. 2 del 2021

La Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA) ha posto un quesito al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in merito alla possibilità di applicare l’art. 8, comma 1, lett. a) del d.l. 104/2020, convertito, con modificazioni, dalla l. 13 ottobre 2020, n. 126), che – in ragione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 – consente, in deroga all’art. 21 del d.lgs. 81/2015, di prorogare o rinnovare un rapporto di lavoro a tempo determinato, anche in assenza delle causali, previste dall’art. 19, comma 1, del d.lgs. 81/2015, anche ai contratti di lavoro in somministrazione a termine.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha risposto al quesito su-indicato con interpello n. 2 del 3 marzo 2021, il quale ritiene che l’art. 8 della l. 126/2020 sia applicabile anche ai contratti di somministrazione a termine che, in via eccezionale, in considerazione del perdurare della fase emergenziale, potranno essere rinnovati o prorogati oltre i 12 mesi anche in assenza di causali, fermo il rispetto degli altri limiti previsti dalla legge. Sull’argomento, il Ministero de quo, nell’interpello ha ribadito che lo spostamento al 31 marzo 2021 del termine finale per l’esercizio di tale facoltà di rinnovo o proroga senza causale – disposto dall’art. 1, comma 279, della l. n. 178 del 2020 – non riconosce una nuova possibilità di rinnovo o proroga, laddove la stessa sia già stata in precedenza esercitata: infatti l’art. 93, comma 1, del d.l. 34/2020, convertito, con modificazioni, in l. 77/2020 e successivamente modificato dal d.l. 104/2020 e dalla l. 178/2020, espressamente prevede che tale facoltà è utilizzabile “per una sola volta”. Tale interpretazione risulta, peraltro, in linea con la ratio di salvaguardia dei livelli occupazionali propria della normativa emergenziale, posto che la possibilità di prorogare o rinnovare i contratti a termine, anche in somministrazione, già in corso con il regime agevolato dell’assenza delle causali, consente di mantenere lo stato di occupazione dei lavoratori somministrati a termine interessati. Ciò, altresì, con l’obiettivo di evitare il ricorso agli strumenti di sostegno al reddito che sarebbe invece necessario attivare in favore di quei lavoratori cessati, per il periodo occorrente alla loro ricollocazione nel mercato del lavoro.

In sintesi, l’interpello del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali precisa che:

  • se un contratto di lavoro in somministrazione a termine viene rinnovato o prorogato per oltre 12 mesi (sempre nel rispetto dei complessivi 24 mesi) utilizzando per la prima volta l’agevolazione prevista dall’art. 93, comma 1, del d.l. 104/2020, lo stesso potrà essere fatto senza avere l’obbligo di inserire una causale, purché avvenga entro il 31 marzo 2021;
  • se invece il rinnovo o lo proroga della medesima tipologia di contratto sono già avvenute usufruendo dell’agevolazione prevista, si dovrà obbligatoriamente inserire una causale secondo quanto previsto dalla l. 96/2018, c.d. Decreto Dignità.

BONUS BEBÈ: MODALITÀ TELEMATICHE

di Rocchina Staiano (Avv., docente all’Università di Teramo e Consigliera effettiva di Parità della Provincia di Benevento)

L’Inps, con mess. n. 918 del 3 marzo 2021, ha fornito chiarimenti sulla procedura di acquisizione delle domande di assegno di natalità (c.d. bonus bebè) per nascite, adozioni o affidamenti preadottivi dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2021, che è stato istituito con la l. 23 dicembre 2014, n. 190.

In via transitoria, al fine di evitare un eventuale pregiudizio del diritto dei potenziali beneficiari, per le nascite/adozioni/affidamenti già avvenuti a partire dal 1° gennaio 2021, il termine di 90 giorni per la presentazione della domanda decorre dalla data di pubblicazione del presente messaggio.

La prestazione in esame è ricalcolata in base a nuove soglie di ISEE per effetto della disciplina introdotta dall’art. 1, comma 340, della l. 27 dicembre 2019, n. 160. Pertanto, nel caso in cui il richiedente presenti domanda di assegno in assenza di ISEE valido e non sia quindi possibile individuare la fascia ISEE di riferimento, purché sussistano tutti gli altri requisiti, la prestazione viene erogata nella misura minima di 80 euro al mese o di 96 euro al mese in caso di figlio successivo al primo (circ. Inps 26/2020). L’Inps in questi casi invia un’apposita comunicazione al richiedente nella quale chiarisce che il riconoscimento dell’importo minimo dell’assegno è legato appunto alla mancanza di un ISEE valido.

Infine, la domanda di assegno deve essere inoltrata dagli aventi diritto esclusivamente in via telematica e, di norma, una sola volta per ciascun figlio nato, adottato o in affidamento preadottivo (nell’ipotesi di nascite gemellari o adozioni plurime, ossia avvenute contestualmente, sarà necessario presentare un’autonoma domanda per ogni figlio nato o adottato), tramite i seguenti canali:

  • portale web, utilizzando gli appositi servizi raggiungibili direttamente dalla home page del sito www.inps.it., se si è in possesso del codice PIN rilasciato dall’Istituto oppure di SPID di livello 2 o superiore o una Carta di identità elettronica 3.0 (CIE), o una Carta Nazionale dei Servizi (CNS). Si ricorda che a decorrere dal 1° ottobre 2020 l’Istituto non rilascia più nuovi PIN;
  • contact center integrato, chiamando il numero verde 803.164 (gratuito da rete fissa) o il numero 06 164.164 (da rete mobile a pagamento, in base alla tariffa applicata dai diversi gestori);
  • patronati, utilizzando i servizi offerti gratuitamente dagli stessi.

AGEVOLAZIONI PER ASILO

di Andrea Oregioni (Avvocato iscritto presso Ordine Avvocati di Roma, esperto in materia giuslavoristica e diritto civile e responsabile per ASSOIMPRESE delle province di Como-Sondrio-Varese e Lecco)

L’Inps, con mess. n. 802 del 24 febbraio 2021, ha fornito chiarimenti sulle modalità di presentazione delle domande per il 2021 per le agevolazioni a sostegno del reddito delle famiglie previste dall’art. 1, comma 355, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, il quale prevede:

  • contributo per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici e privati autorizzati;
  • contributo per l’utilizzo di forme di supporto presso la propria abitazione in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche.

La domanda di contributo per il pagamento delle rette del nido deve essere presentata dal genitore che sostiene l’onere e deve indicare le mensilità relative ai periodi di frequenza scolastica, compresi tra gennaio e dicembre 2021, per le quali si intende ottenere il beneficio. Il contributo viene erogato dietro presentazione della documentazione attestante l’avvenuto pagamento delle singole rette (sono esclusi dal contributo servizi integrativi come ad esempio ludoteche, spazi gioco, pre-scuola, etc.) e non potrà eccedere la spesa sostenuta.

Le ricevute corrispondenti ai pagamenti delle rette non presentate all’atto della domanda devono essere allegate entro la fine del mese di riferimento e, comunque, non oltre il 1° aprile 2022. In ogni caso il rimborso avverrà solo a seguito dell’allegazione della ricevuta di pagamento.

Appello Incidentale tardivo e Pensione di Reversibilità

di Corrado Spina (Avv. e prof. a contratto presso l’Università di Salerno)

Interessante sentenza della Corte di Appello di Salerno del 25 novembre 2020 n. 505 che ci offre lo spunto per analizzare due temi non comuni, l’appello incidentale tardivo ed il diritto dei figli maggiorenni a ricevere la pensione di reversibilità.

Il primo argomento riguarda l’inammissibilità dell’appello principale, al quale consegue la tardività dell’appello incidentale, anche se notificato nei termini previsti per la costituzione del resistente;

il secondo, invece si riferisce all’ipotesi in cui in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi.

Nella fattispecie di cui all’esame il figlio maggiorenne, convivente con il defunto genitore, adiva l’INPS innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore per farsi riconoscere il diritto alla pensione di reversibilità, essendo inabile al lavoro precedente alla morte del genitore.

Il Tribunale con Sentenza del 22 dicembre 2019, in accoglimento della domanda azionata dal ricorrente nei confronti dell’INPS, dichiarava “l’attore è inabile al 100% e permanentemente a proficuo lavoro sin da epoca antecedente alla morte del genitore “e condannava l’INPS alla refusione delle spese di lite.

Avverso tale provvedimento l’INPS proponeva atto di appello, con il quale deduceva che ai fini dell’invalidità di cui alla legge n. 222/1984, il ricorrente avrebbe dovuto essere inabile al 100% senza possibilità di poter lavorare, mentre nel caso di specie il CTU aveva escluso questa possibilità, per cui il diritto richiesto non poteva essere riconosciuto alla fattispecie in esame.

Instauratosi il contraddittorio, la parte appellata si costituiva chiedendo il rigetto dell’appello e proponeva appello incidentale per la declaratoria del diritto alla prestazione, previo accertamento del “diritto ad essere dichiarato inabile al 100% e nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa sin dalla morte del genitore”, senza tuttavia riproporre la domanda di indennità una tantum ex art. 1 co. 20 Legge n.335/1995, pure azionata in primo grado.

La Corte di Appello di Salerno, con Sentenza del 25 novembre 2020 n. 505, così provvedeva “Dichiara inammissibile l’appello principale ed inefficace quello incidentale”.

Appello incidentale tardivo

La funzione dell’appello incidentale è quella di integrare il contraddittorio nel giudizio d’appello; si vuole consentire all’appellante incidentale di sottoporre al giudice una tesi alternativa sullo stesso tema oggetto di controllo a seguito dell’appello principale.

A tal proposito si ricorda che l’appello incidentale, ex art. 333 c.p.c., deve essere proposto dalla parte appellata, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta, tempestivamente depositata in cancelleria.

Inoltre, l’atto contenente l’appello incidentale non deve essere notificato alla controparte, tranne nel caso in cui questa sia rimasta contumace, ex art. 292 c.p.c.

Si ricorda, ancora che la notificazione della sentenza quanto quella dell’impugnazione fanno decorrere il termine breve per il notificante giacché sono entrambe volte ad accelerare il corso del giudizio.

Nella motivazione i giudici di secondo grado affermavano che l’appello incidentale tardivo proposto è processualmente dipendente da quello principale ex art.334 c.p.c., e quindi la sopravvivenza del primo è condizionato alla vitalità del secondo “simul stabunt simul cadent“.

Le impugnazioni incidentali possono essere proposte, in sede di gravame, con la comparsa di risposta tempestivamente depositata, purché risulti rispettato il termine ordinario di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado, sicché, mentre l’inammissibilità dell’appello principale non priva di efficacia l’appello incidentale che sia stato proposto (oltre che tempestivamente ai sensi dell’art. 343 c.p.c. anche) nei termini per impugnare previsti dagli artt. 325, 326 e 327 c.p.c., un’impugnazione incidentale avanzata quando tali termini siano scaduti non potrebbe mai essere ritenuta “tempestiva”, anche se rispettosa del termine di cui all’art. 343 c.p.c.

Infatti, nel giudizio di appello già instaurato si riduce il tempo a disposizione per proporre un’impugnazione incidentale tempestiva. Si immagini che l’atto di appello venga proposto un mese dopo la pronuncia della sentenza, quindi con largo anticipo rispetto al decorso del termine lungo. L’appellato può a propria volta impugnare costituendosi tempestivamente, 70 giorni più tardi, tuttavia l’appello sarà considerato incidentale tardivo e soggetto alla regola contenuta nell’art. 334  c.p.c. Per evitare che ciò accada, l’appellato deve costituirsi, con appello incidentale, entro 30 giorni dalla notificazione dell’impugnazione principale, secondo i termini perentori di cui all’art. 325 c.p.c.

Nella presente fattispecie, il resistente in primo grado propone appello avverso la sentenza del Tribunale, l’appellato, ricorrente in primo grado, nel costituirsi nei termini di legge propone ricorso incidentale.

La corte di appello dichiarando l’inammissibilità dell’appello principale, seguendo il principio simul stabunt simul cadent, dichiara la tardività dell’appello incidentale, seguendo il principio di cui all’art. 334 co. 2 c.p.c. “se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale (tardiva) perde ogni efficacia”.

Ora esaminiamo cosa accade dopo una sentenza di primo grado:

  1. entrambe le parti impugnano, nei termini, il provvedimento ed il Giudice di secondo grado, riunisce i due procedimenti e, verificato il più vecchio, decide su entrambi nel merito, in quanto ogni ricorso ha una sua azione autonoma;
  2. una parte propone appello e l’altra nel costituirsi, trascorso il tempo per impugnare la sentenza, prospetta un appello incidentale, il quale segue il ricorso principale. Nel senso che quest’ultimo viene deciso alla pari dell’impugnazione principale, mentre perde ogni efficacia e viene considerato tardivo se il primo appello viene dichiarato inammissibile.

Si ricorda una recente sentenza della Cassazione “all’inammissibilità del ricorso principale consegue l’inefficacia ex art. 334 c.p.c. del ricorso incidentale, atteso che per poter essere ugualmente trattato, avrebbe dovuto essere proposto entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza” (Cass. 3 dicembre 2020 n. 27753);

Per concludere, l’appello incidentale, collegato a quello principale, anche se depositato nei termini per la costituzione dell’appellato, ma oltre il termine per l’impugnazione principale, deve essere considerato tardivo, con la conseguenza che se viene dichiarato inammissibile l’appello principale, quello incidentale perde ogni efficacia perché tardivo.

Pensione di Reversibilità

L’art. 13 del Regio Decreto 14 aprile 1939 n. 636 prevedeva “Nel caso di morte del pensionato spetta una pensione al coniuge e ai figli superstiti che, al momento della morte del pensionato, non abbiano superato l’età di 18 anni e ai figli di qualunque età riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi”. Mentre l’art. 39 del Decreto del Presidente della Repubblica del 26 aprile 1957 n. 818 stabiliva che “si considerano inabili le persone che, per grave infermità  fisica o mentale, si trovino nella assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro”.

Pertanto secondo la legge dell’epoca, il figlio maggiorenne per ricevere la pensione di reversibilità doveva possedere due requisiti alla morte del genitore : essere inabile al lavoro, ovvero  dimostrare di non avere la possibilità concreta, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un’attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare, in modo normale e non usurante, le sue primarie esigenze di vita, e di essere a carico dello stesso con il semplice documento di residenza.

Tale principio è stato confermato anche dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965 n. 903 che riconosceva il diritto alla pensione di riversibilità anche ai figli maggiorenni purché inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo. Successivamente vi sono state delle restrizioni, per cui l’art. 8 co. 1 della legge 12 giugno 1984 n. 222 ha stabilito che “si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”.

All’uopo una recente sentenza della Cassazione sostiene che in caso di morte del pensionato, il figlio superstite ha diritto alla pensione di reversibilità, ove maggiorenne, se riconosciuto inabile al lavoro e a carico del genitore al momento del decesso di questi, laddove il requisito della “vivenza a carico”,  va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile;  (Cass. 13 aprile 2018 n. 9237)

Si ricorda, inoltre, che coloro non possono ricevere la pensione di reversibilità, poiché il defunto genitore non possedeva sufficienti contributi validi ai fini pensionistici, può sempre richiedere la domanda di indennità una tantum ex art. 1 co. 20 Legge n.335/1995, nel caso di specie fu azionata in primo grado, ma non riproposta in appello.

Tale indennità prevede che qualora non sussistano i requisiti assicurativi e contributivi per la pensione ai superstiti in caso di morte dell’assicurato, ai medesimi superstiti, compete una indennità una tantum, pari all’ammontare dell’assegno sociale (460 Euro) moltiplicato per il numero delle annualità di contribuzione accreditata a favore dell’assicurato.

Pertanto, nella presente fattispecie l’INPS non aveva alcun interesse ad impugnare la sentenza, poiché il primo giudice non aveva accolto la domanda, così come proposta, e l’accertamento incidentale non poteva essere accolto, in quanto l’assicurato non aveva contributi sufficienti per la pensione.

In ogni caso è stato modificato il requisito dell’inabilità al lavoro, intesa come assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, indipendentemente dalle inclinazioni e dal contesto socio-economico nel quale è inserito il figlio maggiorenne disabile.

Ci aiuta una recente sentenza della Cassazione, la quale sostiene che “L’inabilità al lavoro rappresenta un presupposto del diritto alla pensione di reversibilità del figlio maggiorenne e, quindi, un elemento costitutivo dell’azione diretta ad ottenerne il riconoscimento, con la conseguenza che la sussistenza di esso deve essere accertata anche d’ufficio dal giudice” (Cass. 15 dicembre 2020 n. 28614).

Per concludere, il diritto del figlio maggiorenne inabile al lavoro a percepire la pensione di reversibilità del defunto genitore si matura solo a seguito di due condizioni: la inabilità al lavoro al 100% certificata al momento del decesso e la vivenza a carico del genitore, nel senso che quest’ultimo provvedeva, in via continuativa, al mantenimento del figlio inabile.

LICENZIAMENTO PER INIDONEITÀ FISICA CASS. CIV., N. 4896 DEL 2021

di Giuseppe Sauchella (Avv., Amministratore unico di Sannioeuropa)

La Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto la domanda proposta dalla lavoratrice al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato dall’azienda per sopravvenuta inidoneità fisica della lavoratrice (invalidità pari all’80%) allo svolgimento delle mansioni di operaia pulitrice di III livello di cui al CCNL Multiservizi.

Nello specifico, la Corte, dato atto dell’accertata sopravvenuta inidoneità della lavoratrice alle mansioni assegnate di operaia pulitrice all’interno dell’ospedale presso cui la società aveva vinto, congiuntamente ad altra ditta, l’appalto (salvo il disimpegno, peraltro occasionale e residuale del compito di ricezione delle telefonate) nonché dell’assenza di posti vacanti su mansioni compatibili con le condizioni di salute della lavoratrice, ha ritenuto legittimo il licenziamento in considerazione dell’insussistenza di un obbligo del datore di lavoro di modificare la propria organizzazione aziendale o di demansionare o trasferire gli altri dipendenti.

La lavoratrice ha presentato ricorso in Cassazione, i cui giudici, con sentenza, n. 4896 del 23 febbraio 2021 hanno rigettato il ricorso della lavoratrice, ribadendo il principio già affermato da Cass. civ., Sezioni Unite n. 7755 del 1998, secondo cui: la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato, non è ravvisabile nella sola ineleggibilità dell’attività attualmente svolta dal prestatore, ma può essere esclusa dalla possibilità di altre attività riconducibile – alla stregua di un’interpretazione del contratto secondo buona fede – alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché essa attività sia utilizzabile nell’impresa, secondo l’assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall’imprenditore.

Il giudice di merito deve, dunque, indagare la eventuale sussistenza, nell’ambito della struttura organizzativa assunta dall’impresa, di mansioni che possano eventualmente adattarsi all’inabilità del lavoratore, e può ritenere legittimo il licenziamento non solo a fronte della concreta inesistenza di accorgimenti pratici idonei a rendere utilizzabili le prestazioni lavorative dell’inabile ma altresì accertata l’assoluta impossibilità di affidare allo stesso mansioni equivalenti e mansioni inferiori, tenuto conto – nel bilanciamento degli interessi costituzionalmente protetti – della protezione dei soggetti svantaggiati, dell’interesse del datore di lavoro ad una collocazione del lavoratore inabile nella realtà organizzativa unilateralmente delineata dall’imprenditore stesso e del diritto degli altri lavoratori allo svolgimento di mansioni che si collochino nell’ambito del bagaglio professionale acquisito. Infatti, nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato l’assenza di “posti vacanti compatibili con le minorate condizioni fisiche della lavoratrice”, dando atto che tutti gli altri dipendenti della società erano impiegati in “mansioni di fatica per le quali la lavoratrice era già stata dichiarata inidonea permanente” e che le uniche attività che la lavoratrice era in grado di svolgere (ricezione delle telefonate) erano di carattere occasionale e residuale tali da non consentire una adibizione in maniera esclusiva.

In conclusione, il datore di lavoro ha soddisfatto l’onere imposto dall’art. 5 della legge n. 604 del 1966 di provare il giustificato motivo di licenziamento dimostrando che, nell’ambito dell’organizzazione aziendale e del rispetto delle mansioni assegnate al restante personale in servizio, non vi era alcun accorgimento pratico – a prescindere dall’onere finanziario da assumere – applicabile alla mansione (già assegnata o equivalente ovvero inferiore) svolta dal lavoratore ed appropriato alla disabilità.